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Berlusconi è stato mandato in pensione.

Lui, non ha ancora capito che cosa sta accadendo.

di Sergio Di Cori Modigliani

Articolo Originale

inizioripresaSilvio Berlusconi è un leader politicamente finito.

Lo sa lui, lo sanno i suoi, lo sanno tutti.
Tutto sta a vedere –questa è l’unica risposta ancora da decifrare- se finirà nei guai anche economicamente, finendo sul lastrico, trascinandosi appresso tutte le sue aziende, ma proprio tutte, nessuna esclusa. Il che, non è probabile, ma è ampiamente possibile.
Dipende da lui salvare la sua ricca baracca o meno.
Sempre che, nel suo personale e comprensibile delirio di onnipotenza -per quanto pragmatico, cinico e realista- non sia stato preso anche lui da un attacco di mitomania e abbia finito per credere, pensare, e addirittura convincere i suoi, che lui è uno di quelli che davvero contano. Sarebbe davvero doloroso, oltre che per se stesso, i suoi familiari, i suoi seguaci, i suoi dipendenti e tutte le sue clientele di miserabili straccioni appresso, anche e soprattutto per l’economia nazionale e la salvaguardia dell’intero paese.
Chi dovesse pensare, in questo momento, che Berlusconi è finito nei guai per via della condanna della Cassazione, si sbaglia di grosso: ha preso un tragico abbaglio.
Vuol dire che non è informato su ciò che è accaduto in Italia (e nel mondo) negli ultimi 20 anni, non ha capito ciò che è accaduto negli ultimi due anni, e soprattutto ciò che sta accadendo in Egitto, in Usa, e nell’economia italiana. Ma soprattutto vuol dire che è caduto nella trappola della comunicazione berlusconiana, tutta protesa a far credere proprio questo di lui: una vittima della magistratura italiana.
E’ esattamente il contrario.
La magistratura italiana non è poi così tanto libera, né indipendente, né tantomeno coraggiosa (come vogliono farci credere) da andare a impelagarsi per davvero con uno che conta. Non lo ha mai fatto in Italia, se non in brevissimi tratti della Storia di un passato, ahimè, davvero molto remoto, quasi antico. Altrimenti, a quest’ora, nelle patrie galere, in una oscura cella in qualche sotterraneo bunker, languirebbero nel dimenticatoio gli assassini di tanta brava gente innocente, i nostri tanti (troppi troppi troppi) compianti cittadini, uccisi come animali, nelle varie stragi operate dallo Stato, dalla bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura a Piazza Fontana, il 12 dicembre 1969 a Milano, al massacro di civili a Piazza della Loggia a Brescia; dalle bombe sul treno Italicus alla strage nella stazione di Bologna. Passando per l’assassinio dei giornalisti Mauro De Mauro, Mauro Volterra, Mauro Rostagno, Ilaria Alpi, Giovanni Falcone, paolo Borsellino, ai quali vanno aggiunte diverse altre centinaia di persone assassinate, le quali, essendo anonime e poco famose, non ne è stata data notizia pubblica. Per non parlare delle migliaia e migliaia di aziende mandate in fallimento da mafiosi, ‘ndranghetisti e camorristi, con la rovina esistenziale delle vite di centinaia di migliaia di onesti cittadini italiani, senza che lo Stato abbia mai fatto sentire la propria presenza ed esistenza sul territorio. La magistratura italiana è, per l’appunto, italiana. E’ composta da ottimi professionisti, che sono prima di tutto italiani in carriera, e non baldi eroi donchisciotteschi. Nesuna persona importante in campo politico ha mai pagato il suo conto con la magistratura nel nostro paese. Mai. A meno che non abbia fatto il riottoso, il ribelle, il mitomane, l’onnipotente. Come nel caso di Bettino Craxi.
E quando accade, allora si fa di necessità virtù.
Quando al senatore Giulio Andreotti –uomo davvero intelligente e molto pragmatico- hanno spiegato e comunicato che il suo turno era finito e lui era licenziato per sempre, non si è affatto scomposto. Ne ha preso atto, ha ringraziato per il sollazzo ottenuto in quei decenni e si è ritirato a vita privata scomparendo nel nulla. E’ morto di vecchiaia venti anni dopo, allietato dall’affetto dei suoi cari.
Mi auguro sinceramente per Berlusconi (non voglio, per principio, mai il male di nessuno) che sia in grado di far prevalere l’intelligenza sull’ansia di vendetta, il pragmatismo sull’irreale delirio di onnipotenza. Gente ben più importante di lui e 100 mila volte più ricco e potente, da Chang Kaishek a Gheddafi, da Saddam Hussein a Somoza, quando gli è stato presentato il benservito, compresa lauta liquidazione, pensione dorata e magari anche un anticipo miliardario per un libro di memorie, hanno scelto di dire mai nella vitapensando di essere persone che contavano in maniera autonoma. Si erano dimenticati di essere solo e soltanto degli impiegati utili, chiamati a interpretare sullo scenario della vita politica internazionale la parte di quelli che contano per davvero, da bravi attori consumati. Hanno finito per identificarsi con la parte, tragico errore che nessun grande professionista commette mai.
Berlusconi è finito nell’agosto del 2011 e, come al solito, ci ha tenuto a fare lo spiritoso. Quando le sue aziende, il 30 ottobre di quell’anno, sono arrivate “ufficialmente” alla canna del gas, ha prevalso il senso pratico del businessman e si è ritirato. Non era certo contento e soddisfatto. Ma in un mondo realista, sarebbe riuscito addirittura ad ottenere dei crediti di stima da parte di chi contava per la sua capacità, diciamo sportiva, di prendere atto della situazione e finire, perché no, come Andreotti. In perenne ritiro spirituale. Invece no. Dal suo punto di vista ha anche ragione, è comprensibile, dato che il suo comportamento denota una personalità infantile regredita. Ha detto: “allora, se le cose stanno così, ce ne andiamo a casa tutti” come Beppe Grillo augurava e, se ben ricordate, consigliava addirittura con generosa bonomia. Ma gli hanno risposto: “nient’affatto, a casa ci vai soltanto te”. I compagni di cordata pensavano di essere più furbi di lui ma dopo qualche mesetto si sono accorti che la faccenda si stava invece complicando alla grande. Perché in verità, se fossero andati tutti a casa nell’ottobre del 2011 -ma allora, ahimè, non c’erano le condizioni- l’Italia, a quest’ora, navigava nella complessa e multiforme gestione della ripresa post-recessione e il peggio ce lo avevamo ormai alle spalle, soprattutto in campo economico.
Invece, sta precipitando sotto gli occhi di tutti. Oops! Volevo dire, sotto gli occhi di chi vuole, può e sa vedere.
Gli amici di merenda e scorribande gli hanno detto: “ok facciamo un altro giro” pensando così di averla fatta franca. Anche loro erano convinti di essere gente che conta, da Mario Monti a Enrico Letta, da Massimo D’Alema a Pierluigi Bersani. Non sono individui con il senso dello Stato, dotati di lungimiranza e ampie vedute. Si sono messi di buzzo buono e gli hanno salvato le aziende (in cambio di un velo pietoso su tutte le squallide vicende di Mps, della Banca della Marche, della Banca Carige, della Banca Popolare di Emilia Romagna, della Fondazione San Paolo, ecc. senza che la magistratura –e il Tesoro- “osassero” dire neppure una parola, neanche un intervento, neppure un paio di manette importanti) consentendogli una ricapitalizzazione in borsa di ben 4 miliardi di euro e mettendo il nostre prode cavaliere nella felice e invidiabile condizione di andare a trattare a Londra con Rupert Murdoch da una posizione di forza, senza buttarsi per terra chiedendo pietà. Un record borsistico europeo: dal 25 febbraio 2013 al 10 agosto un balzo di ben 156%.
I nostri ottusi piccolo-borghesi, però, avrebbero dovuto già cogliere proprio i segnali londinesi. Già da lì era chiaro come si stava mettendo la faccenda. Rupert Murdoch, il più abile squalo predone nel campo mediatico planetario, infatti, è uomo che quando si siede a un tavolo per trattare un affare non si alza finchè non ha ottenuto ciò che vuole, ed è noto per la sua velocità di esecuzione. Se fiuta l’affare, firma immediatamente. Invece, con scuse varie, ha cominciato a prendere tempo facendo sapere a The Economist, al Financial Times, al Wall Street Journal che non era poi “tanto convinto” dei rapporti presentati dai consulenti di Ubs (colosso finanziario svizzero che spingeva all’acquisto di Mediaset in borsa) e aveva bisogno di tempo per riflettere. I nostri baldi impiegati, invece, non si erano accorti che, nel frattempo, le condizioni internazionali stavano mutando a un ritmo impressionante. Eppure gli era stato spiegato. Ma loro, prima di ogni altra cosa, sono italiani, quindi si considerano abilitati a comportarsi seguendo regole di ambiguità, di menzogna, soprattutto doppiogiochismo, e invece di applicare complesse e vincenti strategie a lungo termine, badano al sodo: pochi, maledetti e subito. Proprio come nei western di Sergio Leone. In fondo, l’Italia è diventata proprio il set di uno spaghetti western, dove la cittadinanza sopravvive alla meglio facendo la comparsa, nella speranza di non beccarsi una pallottola vagante.
Le alleanze politiche internazionali che erano in piedi nel settembre del 2011, non esistono più. Checchè ne pensino i complottisti d’accatto e quelli che non vedono al di là del proprio naso, il mondo, oggi, è completamente diverso dal punto di vista economico, politico, sociale, da quello che esisteva nell’agosto del 2011. Essendo l’Italia un paese ingessato e congelato nel Tempo, è difficile da noi cogliere le modificazioni, i cambiamenti, gli slittamenti progressivi, perché noi viviamo sotto una cappa virtuale che impedisce di leggere la realtà internazionale. Stando in Italia, è impossibile sapere come va il mondo. Ad agosto del 2011, la Cina andava alla grande, e la Germania la seguiva a ruota, il Sudamerica era finito sotto la scure del Fondo Monetario Internazionale, il Giappone, la Francia e gli Usa soffrivano sull’orlo di un gigantesco disastro annunciato, con enorme felicità della Russia che aveva accelerato la sua alleanza con i cinesi prendendo possesso di tutto ciò che poteva, sia in Africa che in Europa, sorretti entrambi da un accordo di ferro con le due più importanti economie asiatiche e occidentali, troppo prese dalla risoluzione dei propri problemi interni per occuparsi sempre del resto del mondo.
24 mesi dopo la situazione internazionale è completamente diversa. La Cina ha iniziato a frenare e già intravede spaventosi guai all’orizzonte (loro sono una etnia con lo sguardo lungo) e trema alla grande, la Germania comincia –con autentico malcelato terrore- ad accorgersi che, forse, la sua idea della gestione dell’euro e del continente finirà –come sempre è accaduto in Europa- per trasformarsi in un gigantesco boomerang. In compenso, la Francia si sta lentamente ma certamente avviando a sostituire l’Italia come seconda economia in Europa acquistando a man bassa aziende decotte nostrane, mentre il Sudamerica ha trovato un inatteso appoggio all’Onu e alla Banca Mondiale da parte degli Usa. Il Giappone è ripartito alla grande e si sta riprendendo tutto il mercato del sudest asiatico strappandolo ai cinesi, che glie lo avevano soffiato a metà degli anni’90. Gli Usa stanno già marciando alla grande a un ritmo economico da vertigine, al punto tale da aver scelto di frenare in alcuni comparti della propria economia. Da notare la diffusione di annunci mediatici di fondamentale importanza, di cui in Italia non è stata fatta neppure menzione. Il Wall Street Journal ha pubblicato un esaustivo pezzo, poi commentato dal presidente in persona in una conversazione televisiva, nel quale (due giorni fa) gli Usa hanno annunciato di essere la prima nazione al mondo che può “permettersi il lusso di potersi definire totalmente autosufficiente al 100% nel campo energetico, alimentare, dei servizi, e dell’alta tecnologia elettronica”. Non devono acquistrare nessuna di queste merci da nessuno, quindi non sono ricattabili. Hanno scelto di mandare definitivamente in pensione il carbone, riuscendo a battere la potentisima lobby dell’industria estrattiva che la sosteneva, ormai arresa all’evoluzione dei tempi. Si sono già riconvertiti alle energie eco-sostenibili alternative per un 25% e contano per il 2017 (cioè dopodomani) di raggiungere il 50%. Calcolano che nel 2055 non consumeranno più neppure una goccia di petrolio. Hanno convinto le grandi multinazionali petrolifere texane e californiane ad iniziare un gigantesco piano di riconversione industriale, considerato molto meno costoso per l’amministrazione statale che non andare in giro per il mondo a fare guerre inutili e criminali per dei pozzi di petrolio. Ed è molto più profittevole per quelle industrie. Il più importante sostenitore finanziario, in Usa, oggi, dell’energia eolica e solare è formato da un consorzio i cui principali azionisti sono la Federal Reserve, Il Ministero dell’Industria, la Mobiloil e la Texaco. Com’era da noi l’Iri nel 1970. Idem per il Giappone. La Cina, dal canto suo, ha aumentato del 156% la produzione di carbone altamente inquinante ed è diventato il primo acquirente di carbone dalla Russia che vendeva agli Usa per un controvalore annuo (2005) di ben 25 miliardi di euro all’anno, cifra che nel 2013 è stata ridotta a zero. Se vanno avanti così, i cinesi finiranno per suicidarsi tutti morendo dentro una gigantesca camera a gas a cielo aperto, che si stanno costruendo da soli.
Tutto ciò ha modificato completamente gli equilibri planetari perché ha lanciato il concetto di “glocal” come nuovo modello di crescita mondiale, una buona sintesi armonica tra protezionismo necessario e abbattimento delle frontiere.
L’Italia, che seguita a essere importante dal punto di vista strategico, è finita, in virtù del proprio immobilismo, al palo.
E poiché si è in guerra e a dettar legge, in questo momento –nel senso di quelli che davvero contano- sono gli Usa, Giappone e Sud America da una parte e Cina-Russia dall’altra, i giochetti all’italiana, per l’Italia, non vanno più bene.
Così come la musica era cambiata nel 1992, quando la Cia mandò in soffitta la loro criminale politica di gestione degli affari italiani, così oggi l’Italia si trova costretta a prendere atto che si è verificata una nuova gigantesca trasformazione planetaria che impone un totale, nonché definitivo, cambiamento generazionale nella gestione del paese. Vero.
Tradotto, vuol dire che il maquillage non funziona ed è inutile.
Tradotto, vuol dire che l’attuale classe dirigente politica italiana sta interpretando il proprio ruolo considerando se stessi come depositari di una interpretazione economica, sociale, politica e psicologica che è obsoleta, al di fuori della attualità e del mondo reale, e non fa gli interessi dei padroni che li avevano assunti, nei diversi decenni, come deferenti e baldi impiegati al lioro servizio.
Sono diventati inutili.
Ma loro non lo hanno capito.
Oppure, fingono di non averlo capito.
Tant’è che dall’11 agosto è ricominciato il bailamme di Mediaset in borsa. In sole cinque sedute ha perso circa 600 milioni di euro, idem Mondadori e Mediolanum che comincia a scricchiolare di nuovo. Diciamo, per essere franchi, che –per il momento- tutti gli investitori stranieri hanno scelto e deciso di mollare il nostro prode cavaliere. Il segnale è chiaro e forte. Anche dichiarato. In Italia invece si parla di diritti costituzionali e altre dabbenaggini del genere.
Rupert Murdoch mica è scemo. Già oggi paga tutto con un 12% in meno rispetto a dieci giorni fa.
Tutto ciò per spiegare le motivazioni del cosiddetto “rigurgito aggressivo del PDL a sotegno della necessaria agibilità politica del loro leader”: roba da clown di periferia.
Il cavaliere è sato fondamentale per le multinazionali anglo/americane e per la gestione italiana da parte dei colossi finanziari del nostro patrimonio industriale dal 1993 al 2011. Adesso non serve più, è stato già licenziato. La magistratura italiana, sempre ottima, accorta e lungimirante, nel saper leggere chi comanda e chi serve, ha preso atto di uno stato di cose direi, di banale oridnaria amministrazione. Il problema non è più Berlusconi né tantomeno i giannizzeri straccioni del suo seguito di elemosinieri da strapazzo, bensì il management del PD. Sono loro la vera anomalia della nazione. Non possono dichiarare lo stato delle cose, perché così facendo perderebbero le loro clientele alimentate dalla corruttela del patto eterno con il cavaliere.
Ma il grande problema, questo sì fatale, in questo momento di crisi internazionale e di grandi rivolgimenti, ci rende terribilmente fragili: il controllo totale della criminalità organizzata, attraverso la politica, dei gangli vitali della Repubblica, delle Istituzioni, dell’industria, delle banche, dei media, dell’intera economia. La totale presa di possessso del terreno economico nazionale, soprattutto nel settentrione, è l’unico segmento in cui ha trionfato il “glocal all’italiana”. Leader del Made in Italy nel mondo è diventata la criminalità organizzata siciliana, calabrese, napoletana. Lo sanno tutti.
Ma c’è un problema.
Lo stesso identico problema che si era verificato nel 1992.
Di questo ne parliamo nella seconda puntata, domani o dopodomani.
Tutto ciò per condividere, con voi, tutta questa fuffa berlusconiana: è tutto fumo negli occhi. Si arrampicano sugli specchi arraffando nel frattempo ciò che possono.
Sia il PDL che il PD.
L’Italia, come è noto, soffre di una anomalìa che la rende un paese difficile da gestire e per molti aspetti incomprensibile per gli osservatori esterni. Sembrano essere tutti d’accordo nel sostenere che, tale “anomalia”, sarebbe relativa all’esistenza  politica di Silvio Berlusconi per un così lungo tempo.
Non sono d’accordo.
La sopravvivenza di Berlusconi non è un’anomalia, bensì la conseguenza di un’altra anomalia, quella vera, quella che determina l’attuale crisi economica e il totale sfaldamento della nazione.
Le potenze planetarie che contano, negli scorsi decenni, hanno approfittato di tale anomalia italiana, accettandola per forza di cose, e quindi operare facendo razzie a proprio piacimento sul nostro territorio. Finchè non si sono verificate una serie di contingenze (e noi ci siamo proprio dentro) che hanno modificato l’assetto internazionale e hanno trasformato l’anomalia in un elemento disturbatore e molto pericoloso. Quindi, o gli italiani risolvono la propria anomalia, in un qualche modo legittimo, reale, efficace ed efficiente (non finto, tanto per intendersi) oppure finiremo molto presto -davvero prestissimo- per essere commissariati a tutti i livelli dalla Germania, dalla Gran Bretagna, dalla Francia e dagli Usa. Magari a nostra insaputa. Perchè, va da sè, non verranno certo a dircelo e non sarà di sicuro ufficializzato con editoriali sulla stampa cartacea e sui blog in rete.
La nostra anomalia non è unica in Occidente. Esiste un’altra nazione che la pratica, il Messico.
Noi siamo come loro.
Siamo i messicani d’Europa.
La anomalia di cui parlo è relativa al rapporto tra le Istituzioni e lo Stato da una parte e la criminalità organizzata dall’altra.
Non è una originalità, questa relazione, dato che è presente in quasi tutte le nazioni del mondo.
Ma in Italia, purtroppo per noi, ha assunto -per l’appunto- una forma diversa tutta sua che è la seguente: “A differenza delle altre nazioni dove lo Stato usa, manipola e tratta con le organizzazioni criminali locali, per i propri interessi nel nome della Ragion di Stato, in Italia avviene la dinamica opposta. E’ la criminalità organizzata a esercitare il vero potere, e i loro rappresentanti usano, manipolano e determinano l’andamento dell’economia, della politica, del mercato del lavoro, finendo per determinare lo svolgimento della vita sociale del paese”. Da noi i criminali decidono, lo Stato e le Istituzioni eseguono: esattamente il contrario di ciò che accade nel resto del mondo, fatta eccezione per la Repubblica del Messico.
E’ quindi una nazione pericolosa, la nostra, considerata -dal punto di vista strategico-militare- la “più pericolosa in assoluto” nell’intero mondo occidentale, soprattutto quando si verificano delle condizioni belliche o pre-belliche, o una situazione di alterazione e sommovimento del quadro internazionale.
Come si sta verificando da 25 mesi a questa parte, con una accelerazione attuale sorprendente.
Affrontare questa anomalia, prendendo il toro per le corna, è la prima e basilare priorità da affrontare in questa nazione. Se non lo si fa, non sarà possibile nè risolvere nè affrontare nessuno dei problemi reali che ci affliggono come cittadinanza, perchè sono tutti una conseguenza della iniziale anomalia, dall’economia alla politica, dal lavoro al sociale, dalla cultura alla legalità affermata.
Sono le nuove condizioni geo-politiche che ce lo impongono, che ci piaccia o meno.
E’ la solita sfortuna dell’Italia.
E’ la solita fortuna dell’Italia.
Per una serie di complesse e molteplici variabili storiche, ci troviamo sempre di fronte a una situazione strategica che finisce per metterci nelle condizioni di NON poter più procrastinare una scelta decisiva, definitiva, estrema. Questa è la nostra fortuna, perchè è un’ottima occasione. La nostra sfortuna, invece, consiste nel fatto che -come è sempre andata a finire la maggior parte delle volte- avendo prodotto una classe politica di irresponsabili corrotti, il cambiamento di passo viene operato dall’esterno dalle potenze che contano. E naturalmente fanno i loro interessi, non i nostri. Peggio per noi che non siamo in grado di scrollarci di dosso il marcio che noi stessi abbiamo prodotto.
Perchè abbiamo sempre mancato l’appuntamento con la Storia. Per scelta di ignavia.
E così, agenti esterni finiscono per farci cambiare ciò che non funziona. E lo fanno o con le buone o con le cattive. Nel senso di: o con le bombe e/o le invasioni militari, oppure con l’applicazione ferrea di dispositivi di natura economico-sociale che vengono calati dall’alto sulla cittadinanza, costretta ad accoglierli in maniera passiva, senza minimamente comprendere ciò che sta accadendo loro.

Due giorni fa, sul blog di Beppe Grillo, è apparso un lungo articolo a firma di un giornalista di Panorama, Giovanni Fasanella, tratto da un suo libro pubblicato da Chiarelettere proprio sulla trattativa stato-mafia.
L’argomentazione centrale dell’autore è quella consueta di chi sostiene che tra il 1992 e il 1993 ci sia stata una trattativa tra apparati dello Stato e cupola mafiosa che ha poi provocato e determinato l’attuale sfracello. Ho letto con attenzione l’opinione e l’interpretazione di Fasanella e sono d’accordo con lui soltanto per ciò che concerne la descrizione delle dinamiche storiche dall’epopea del Risorgimento fino al 1990. Poi, a mio avviso, le cose sono andate invece in maniera molto diversa e in Italia, ancora oggi, è davvero molto ma molto difficile -per non dire praticamente impossibile- affrontare l’argomento con una visione ampia di insieme che esuli dal quadro provinciale del nostro nazionalismo. Ritengo, infatti, che seguitare a definire le presupposte relazioni tra membri dell’esecutivo e mafiosi come “trattativa stato-mafia” sia un errore riduttivo. Una trattativa ci fu, eccome se ci fu.
Ma fu ben altra cosa.
E avvenne nella primavera del 1987.
Fu la trattativa stati-mafie. Al plurale.
Di cui l’Italia, con la sua bella mafia siciliana e la sua bella ‘ndrangheta calabrese, era soltanto uno degli attori in campo, e non l’unico. Perchè ci fu anche la mafia vaticanense, la mafia irlandese, la mafia russa, la mafia ebraica, la mafia marsigliese, la mafia araba, la mafia colombiana; a vedersela con Usa, Urss, Gran Bretagna, Francia, Israele, Egitto, Arabia Saudita, Venezuela, Al Fatah, Stato del Vaticano.
Ma lì nacque anche la nostra anomalia che ci rende, ahimè, unici e sostanzialmente diversi da tutti gli altri.
La criminalità organizzata esiste dovunque nel mondo; appartiene alla parte oscura della specie umana.
Altrimenti non esisterebbe la polizia.
Notoriamente, in tutte le nazioni, la criminalità organizzata corrompe politici,  magistrati, imprenditori, o comunque sia ci prova, cercando di aggirare la Legge per affermare i loro loschi affari, ma lo Stato li persegue, li controlla, quando esagerano li bastonano e poi li usano quando ne hanno bisogno per operazioni (segrete o meno che siano) legate alla ragion di stato. Servono per far fare il lavoro sporco clandestino. I ruoli vengono rispettati a vicenda. E’ sempre l’Istituzione che gestisce il potere esecutivo e le singole mafie locali lo sanno benissimo e rispettano gli accordi. Quando osano alzare troppo la testa arriva sempre e inequivocabilmente la mannaia dello Stato. Non così in Italia.
E tutto ciò in conseguenza della scelta politica effettuata nella primavera del 1990, quando dopo il crollo del comunismo, proprio in base a specifici precedenti accordi avvenuti nel 1987 quando le grandi potenze e le cupole mafiose internazionali trattarono la gestione degli affari nel mondo post-comunista, in Italia venne attuata una scelta opposta a quella verificatasi in Francia, Germania, tutto l’est europeo e gran parte dell’Impero Sovietico. Quando è crollato il comunismo, nella nazione europea che contava il più agguerrito partito comunista locale (la Francia) il problema neppure si pose. I comunisti, letteralmente “evaporarono” perchè accettarono la generosa offerta da parte dello stato: o in galera o fuori dalla politica per sempre. Soltanto una trentina di dirigenti scelsero (e pagarono) lo scotto; tutti gli altri presero atto della sconfitta e abbandonarono la vita pubblica. In Germania ancora più forte, perchè gli agenti locali della Cia e del KGB finirono processati e in galera in diverse migliaia. Non così in Italia. Se, tra il 1990 e il 1991, nel nostro paese, le istituzioni avessero avuto l’intelligenza, la lungimiranza e la pulizia etica (approfittando del fatto che sia la CIA che il KGB mettevano a disposizione adeguata documentazione) di arrestare, processare e condannare per “attacco all’integrità della nazione, partecipazione a insurrezione contro i poteri dello Stato, tradimento delle istituzioni” un centinaio di persone, tra cui importanti e famosi esponenti del PCI, della DC, del MSI, ai quali affiancare quattro cardinali, quattro generali dei carabinieri e della finanza, quattro magistrati, e quattro intellettuali venduti al nemico della nazione, ebbene, allora il segnale sarebbe stato molto ma molto forte per l’intero paese. Avrebbe significato che la seconda guerra mondiale era finita, ed era finita anche la guerra fredda. Era finita l’ideologia e bisognava andare a ricostruire l’Italia tutti insieme, e si metteva fine a una pagina storica. In tal modo l’Istituzione dello Stato poneva se stessa come fiero garante arbitrale della cittadinanza collettiva, sia di destra che di sinistra, e le organizzazioni criminali avrebbero capito l’antifona e si sarebbero adeguate, accettando con enorme malumore il principio romano di Dura Lex Sed Lex. E invece no. Spudorati e immondi italiani al servizio di criminali della Cia che militavano dentro alla DC e dentro al MSI si misero d’accordo con i loro immondi criminali equivalenti del KGB che militavano ipocritamente dentro al PCI e decisero di perdonarsi a vicenda pur di salvare i gruzzoli accatastati. Centinaia di persone che negli anni 60, 70, 80 si erano costruite carriere, rendite, privilegi, dinastie familiari, grazie ai generosi appannaggi continui che fioccavano da Washington e da Mosca, sono finiti per confluire in Alleanza Nazionale e in Forza Italia, nei DS e in Rifondazione Comunista e poi da lì nel PDL e nel PD senza pagare mai il conto delle loro malefatte. Perchè fascisti e comunisti e cardinali si erano messi d’accordo per tenersi ciascuno il proprio malloppo, ottenuto grazie alla diffusione di falsità, manipolazioni, costanti alterazioni della verità, il tutto ai danni dell’erario e della collettività. E lì, in quel preciso ed esatto momento, la criminalità organizzata italiana agì con spietata abilità strategica e grande lungimiranza, che denotava una profonda e antica conoscenza del proprio pollame. Custodì amorevolmente l’accordo consociativo, battezzando la promozione di assassini fascisti e assassini comunisti e assassini vaticanensi all’interno delle istituzioni e del parlamento, che iniziò così ad essere esautorato, svilito e annacquato.
Lì si inserì, e fu un gioco da ragazzi prendere il potere.

Secondo la modalità consueta della mafia. Ovvero, senza clamore, senza pubblicità, senza visibilità.

Quell’accordo (allora definito di “pacificazione nazionale”) fu il semaforo verde per lanciare alla nazione il segnale che lo Stato di Diritto non esisteva e non sarebbe stato applicato nei riguardi di chi si metteva al servizio dei poteri forti. La Legge esisteva e pestava duro soltanto nei riguardi dei cittadini comuni e di chi non aveva mai voluto avere niente a che fare nè con la Cia nè con il KGB. E così la mafia prese il potere, perchè capì che li poteva controllare tutti e iniziò la sua penetrazione in tutti i gangli delle istituzioni occupando le dirigenze nazionali dei partrti, i consigli di amministrazione delle banche, degli enti, dei ministeri, e poi da lì acquistando tutti i media (in Italia i media sono tutti nelle mani di consorzi bancari e finanziari) la cui direzione e controllo è stata affidata a solerti impiegati di turno, sempre e del tutto consapevoli del fatto che stavano andando a servire la mafia. Non hanno scuse. E non potranno mai essere perdonati.
E’ per questo che devono andare tutti a casa.
Lo faranno con 23 anni di ritardo, senza pagare alcun dazio.
Gli italiani non lo hanno voluto fare per conto proprio, perchè siamo un popolo di cinici opportunisti, traditori e doppiogiochisti. I cittadini di destra hanno seguitato a votare per degli assassini sapendo con esattezza chi fossero, nello stesso identico modo in cui i cittadini di sinistra hanno seguitato a votare degli immondi e impresentabili individui criminali, in entrambi i casi compromessi fino al collo con forze che non hanno mai avuto -neppure per un momento- l’idea di pensare al bene collettivo degli italiani.
E così, adesso, ci dovrà pensare l’Europa che sta premendo in maniera ossessiva perchè l’Italia avvii il necessario ricambio prima che sia troppo tardi, ovvero prima che sia necessario un commissariamento forzato del paese, presentato a tutti come “governo tecnico di emergenza per rispettare gli accordi europei”. La nuova situazione internazionale lo impone, giocoforza.
Il PDL e il PD sono davvero disperati perchè non sanno che pesci prendere.
Il loro perverso e pervertito abbraccio mortale con la mafia siciliana, la ‘ndrangheta calabrese e la camorra napoletana, sta strozzando il paese, ma poichè viviamo in una economia globale esso ha travalicato i confini nazionali producendo e procurando anche gravi danni all’estero, e non è controllabile dallo stato centrale italiano.
Per via della nostra anomalia.
Da noi, infatti, la mafia è la vera istituzione nazionale. Gli altri poteri eseguono i loro ordini.
Se domani a Mosca la potentissima mafia russa commette un grave errore e pesta i piedi a Vladimir Putin che la usa e la consuma a proprio piacimento, dopo poche ore i responsabili finiscono spiaccicati a mitragliate sul piazzale antistante il Cremlino, davanti a tutti. Idem a New York, Chicago, Los Angeles, Nizza, Marsiglia, Dublino, Amburgo, Manchester, Lille, Rotterdam e via dicendo.
Non così a Tijuana o a Ciudad Juarez.
Non così a Milano o a Roma.
Per chi conta davvero nel mondo di oggi, questa situazione non è più sostenibile.
Tutto qui.
Ne vedremo delle belle.
Questo è poco ma sicuro.
Tutto il resto è fuffa per gettare fumo negli occhi e annebbiare il cervello della cittadinanza.

P. S. Ecco come wikipedia presenta al lettore l’esistenza della trattativa Stato-mafia in Italia; se siete in grado di leggere tra le righe, capirete da soli come stanno le cose:
La presunta trattativa tra Stato italiano e Cosa nostra[1] sarebbe stata una negoziazione avvenuta all’indomani della stagione delle bombe del ’92 e ’93 tra lo Stato italiano e la mafia per giungere ad un accordo[2] che avrebbe previsto la fine della stagione stragista in cambio di un’attenuazione delle misure detentive previste dall’articolo 41 bis[3]. La trattativa è ancora oggetto di indagini giudiziarie ed è stata dichiarata reale nella motivazione della sentenza[4] del processo a Francesco Tagliavia[5] per le bombe del ’92 e ’93.[6]Secondo tale sentenza l’iniziativa per la trattativa “fu assunta da rappresentanti dello Stato e non dagli uomini di mafia”[7] e comunque ad oggi (2013) tale negoziazione non è stata definitivamente e chiaramente dimostrata. A tutt’oggi, anzi, risulta oggetto di diverse indagini, per le quali sono stati indagati diversi esponenti di Cosa nostra come Totò Riina e Bernardo Provenzano, alcuni politici tra i quali il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri[8], il suo ex socio in affari[9][10] il finanziere Filippo Alberto Rapisarda[11], il deputato ed ex ministro democristiano Calogero Mannino[12] nonché alcuni appartenenti alle forze dell’ordine come il generale dei carabinieri e capo del ROS Antonio Subranni [13] l’allora colonnello Mario Mori[14] e il suo braccio destro al ROS, il capitano Giuseppe De Donno che disse: “Decidemmo di contattare in qualche modo la mafia attraverso Vito Ciancimino per fermare le stragi, ma non ci fu nessuna trattativa”[15].Attualmente (2013), si tende a ritenere che la trattativa sia avvenuta[16] nel periodo tra la morte dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino[17], e che quest’ultimo possa essere stato assassinato anche perché veniva considerato un ostacolo alla trattativa tra Stato e mafia[18], secondo le rivelazioni ancora da accertare di Gaspare Spatuzza[19] e diGiovanni Brusca[20].

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