Depressione
Joanna Moncrief: La teoria dello squilibrio chimico
La teoria dello squilibrio chimico come causa della depressione resta priva di fondamento ma viene sempre invocata
Di Joanna Moncrief, Psichiatra
Si continua a discorrere animatamente di squilibrio chimico come causa della depressione. A furia di parlarne, da oltre due decenni, nel pubblico si è diffusa l’idea che si tratti di un fatto scientificamente dimostrato. Recentemente il conduttore di un programma radiofonico inglese ha dichiarato di avere avuto la depressione, dovuta a uno squilibrio chimico; ecco le sue testuali parole:
“Tutto il buono viene spazzato via dal cervello, e occorre rimettercelo – ecco a cosa servono le medicine. ”
Questa visione delle cose è stata creata dal marketing dell’industria farmaceutica, ma i medici continuano ad avvalorarla. I telespettatori di un programma televisivo sulla salute, il 18 marzo scorso venivano informati dal Dr Chris Steele – referente medico per quel programma – che la depressione consiste di uno squilibrio chimico nel cervello causato da diminuzione della serotonina.
Non si tratta di casi isolati: un opuscolo informativo dell’APA (Associazione Psichiatrica Americana), intitolato “Depressione: parliamo dei fatti” sostiene che “anomalie in due composti chimici nel cervello – serotonina e norepinefrina – potrebbero contribuire ai sintomi della depressione” e “la prescrizione di antidepressivi potrebbe correggere gli squilibri chimici nel cervello”. Un simile opuscolo, pubblicato in Inghilterra dal Reale Collegio Psichiatrico sostiene:
“Non lo sappiamo per certo, ma riteniamo che gli antidepressivi funzionino aumentando l’attività di certi neurotrasmettitori nel nostro cervello, chiamati serotonina e noradrenalina. ”
Eppure, come evidenziato dal dr. Pies, diversi luminari della psichiatria hanno recentemente preso le distanze dalla teoria dello squilibrio chimico, semplicemente perché non è mai stata dimostrata.
Quali sono le prove?
Si suppone che due composti chimici presenti nel cervello – serotonina e noradrenalina (o norepinefrina) – giochino un ruolo nella depressione, ma i dati sono stati da tempo riconosciuti come contraddittori: diversi studi sui recettori di serotonina, in cui si confrontavano i livelli in soggetti normali e depressi, mostravano come questi ultimi potevano avere livelli minori, uguali o persino maggiori! Anche studi post mortem, su soggetti suicidi, hanno evidenziato gli stessi risultati inconsistenti.
Sono stati fatti anche studi in cui l’insufficienza di serotonina veniva artificialmente prodotta nei soggetti tramite una dieta priva di triptofano, l’amminoacido usato dal corpo per produrre serotonina. Alcuni di questi studi mostrano un leggero abbassamento dell’umore in soggetti precedentemente trattati con antidepressivi SSRI, ma lo stesso effetto non si rileva su soggetti volontari generici. Ciò, al massimo, dimostra che l’effetto è solo conseguenza del precedente trattamento.
In altri tipi di studi, condotti in abbondanza tra gli anni 60 e 70, l’insufficienza di serotonina veniva causata per mezzo di una sostanza, la paraclorofenilalanina, che abbassa i livelli di serotonina. Venivano documentati casi di aggressività, insonnia, comportamento ipersessuale, ipersensibilità all’ambiente, agitazione e paranoia – ma niente di simile alla depressione. Nella lunga filiera di studi in proposito, non mancano quelli in cui veniva trionfalmente sbandierata la prova della teoria chimica, compreso studi sulla variazione di cortisolo – l’ormone dello stress – o sulla variazione delle dimensioni del cervello. Tutti questi lavori però forniscono risultati inconsistenti, e nessuno di essi ha mai dimostrato un legame specifico con la depressione.
Se 50 anni di studi non ci hanno fatto approdare e nulla, ci si potrebbe giustificare sostenendo che non disponiamo della tecnologia corretta, ma potrebbe anche essere che stiamo inseguendo una chimera.
Secondo Pies, moderne teorie psichiatriche di depressione sono più sofisticate, e comprendono fattori biochimici e sociali, ma dietro ai paroloni del cosiddetto “modello psicosociale” e dietro al linguaggio prudente e ricco di condizionali dell’APA, non si riesce a nascondere la riluttanza psichiatrica ad abbandonare la teoria chimica della depressione.
Naturalmente, ci sono eventi cerebrali e reazioni biochimiche che hanno luogo quando qualcuno si sente depresso, così come ce ne sono in continuazione, ma nessuna ricerca ha mai stabilito un legame causa-effetto (e nemmeno una correlazione) tra una particolare condizione del cervello e la depressione.
Certamente alcuni individui soffrono più di altri, e necessitano di assistenza per risalire la china. Il modello chimico però, oltre ad essere scientificamente infondato, non aiuta. Nonostante i tentativi d’incorporare fattori sociali, questa teoria di fatto sovrasta i fattori sociali e svuota la depressione di significato: ci convince di essere incapaci di cambiare noi stessi o la nostra situazione. Quando le cose vanno male, ci convince a prendere una pillola come rimedio.
Questo approccio potrebbe anche piacere a qualcuno, e non è mia intenzione denigrarli; ma è importante sapere che è privo di fondamento scientifico.
Articolo originale: http://joannamoncrieff.com/2014/05/01/the-chemical-imbalance-theory-of-depression-still-promoted-but-still-unfounded/
The Chemical Imbalance Theory of Depression: still promoted but still unfounded
joannamoncrieff / 1 week ago
A long overdue debate is raging about the chemical imbalance theory of depression. Having been deluged with this idea for two decades now, the general public has come to believe that it is a scientifically proven fact. An LBC radio presenter recently announced that he had suffered from depression and he knew it was a chemical imbalance. ‘All the goodness is flushed out of the brain [and you have to] top it up now and again; that’s why you need medicine,’ is how he expressed it.
Pharmaceutical industry propaganda has led the way in advocating this view, but the medical profession continues to endorse it too. On 18th March 2014, viewers of This Morning, a national UK television programme were advised by the programme’s resident General Practitioner, Dr Chris Steele, that depression consists of a chemical imbalance in the brain caused by depletion of serotonin (1).
Neither is it simply a few rogue individuals who are promoting this line, as claimed by leading US psychiatrist Ronald Pies in a recent article (2). The American Psychiatric Association’s public information on depression, entitled Lets Talk Facts about Depression, claims that ‘abnormalities in two chemicals in the brain, serotonin and norepinephrine, might contribute to symptoms of depression’ and later on that ‘antidepressants may be prescribed to correct imbalances in the levels of chemicals in the brain’ (3).
The UK’s Royal College of Psychiatrists public information leaflet on antidepressants states: ‘we don’t know for certain, but we think that antidepressants work by increasing the activity of certain chemicals in our brains called neurotransmitters. They pass signals from one brain cell to another. The chemicals most involved in depression are thought to be serotonin and noradrenalin’ (4).
As Pies demonstrates, however, leading psychiatrists have been trying to distance themselves from the chemical imbalance theory of depression in the last few years, because the evidence to support it has simply never been there.
So what is the evidence? Two brain chemicals have been suggested to be involved in depression- noradrenaline (norepinephinre) and serotonin. The evidence on noradrenalin has long been acknowledged to be contradictory, as described in the principle American textbook of psychiatry in 2001, with studies showing increased, decreased and equal levels of activity in depressed patients compared to controls (5).
Evidence on serotonin comes principally from studies of serotonin receptors and ‘serotonin depletion’ studies. Results of studies of the serotonin 1A receptors in living subjects are contradictory, with some finding lowered levels of receptors in people with depression compared to those without (6,7), some finding no difference (8,9) and some finding raised levels (9,10)! Post mortem studies of receptors in the brains of people who have died by suicide are similarly inconsistent (11,12,13).
There are two types of ‘serotonin depletion’ study. One involves giving people a diet low in tryptophan, the amino acid that the body uses to manufacture serotonin. Some of these studies show a lowering of mood in people who have previously had depression and been treated with SSRIs. The effect does not occur in volunteers (14), however, suggesting that, if anything, it is a consequence of previous drug treatment. The second type of study involves a powerful serotonin depleting chemical called parachlorophenylalanine, which was used in animal and human experiments in the 1960s and 70s. This produced a state of insomnia, aggression, hypersexual behaviour, irritability, hypersensitivity to the environment, agitation and paranoia, but nothing resembling depression (Mendels and Frazer 1974).
Pies claims that psychiatric theories of depression are more sophisticated and incorporate social and psychological influences. But for all his talk about the ‘biopsychosocial’ model, Pies, along with most of the psychiatric establishment, cannot relinquish the disease model of depression – the idea that depression consists of the manifestations of a discrete biological mechanism (or mechanisms) like a bodily disease.
Of course, there are brain events and biochemical reactions occurring when someone feels depressed, as there are all the time, but no research has ever established that a particular brain state causes, or even correlates with, depression. Alongside biochemical theories numerous findings have been trumpeted as indicating the disease-basis of depression, including variations in cortisol (stress hormone), brain volume abnormalities and neurotrophic factor. In all cases studies yield inconsistent results, and none have been shown to be specific to depression, let alone causal (17).
The fact that more than 50 years of intense research efforts have failed to identify depression in the brain may indicate that we simply lack the right technology, or it may suggest we have been barking up the wrong tree!
Social constructivist thinkers have highlighted that emotions are not equivalent to physical states or sensations like being hungry, tired or having a cold (18). They are not simply involuntary experiences thrust upon us by our biology. They are sophisticated and specifically human responses to the world around us that involve complex moral evaluations of events.
This is not to deny that some individuals suffer more than others, and that some need assistance to climb out of the dark place they have become stuck in. The disease-model, however, is ultimately not helpful, as well as being unfounded. For all its attempts to incorporate social factors, the disease-model renders depression meaningless, because biology effectively trumps other influences. It conveys the message that we are powerless to change ourselves or our situations. When things go wrong, it persuades us we need a pill to put them right. This approach may appeal to some people, and I am in no way disparaging those who chose to follow it. But it is important that everyone knows how little evidence there is to support it.