Chernobyl è diventata un rifugio per la fauna selvatica 33 anni dopo l’incidente nucleare

Chernobyl è diventata un rifugio per la fauna selvatica 33 anni dopo l’incidente nucleare

Centrale nucleare di Chernobyl (Ucraina) con il nuovo edificio di confinamento sicuro sopra l’unità reattore numero 4. Maggio 2017. Germán Orizaola

Il reattore numero quattro della centrale nucleare di Chernobyl subì un’esplosione durante un test tecnico il 26 aprile 1986. A seguito dell’incidente, nell’allora Unione Sovietica, furono emesse più di 400 volte più radiazioni di quelle rilasciate dalla bomba atomica caduto su Hiroshima (Giappone) nel 1945. Rimane il più grande incidente nucleare della storia.

I lavori di bonifica sono iniziati subito dopo l’incidente. Attorno allo stabilimento è stata creata una zona di esclusione e più di 350.000 persone sono state evacuate dall’area. Non sono mai tornati. E ancora oggi sono in vigore severe restrizioni sugli insediamenti umani permanenti.

L’incidente ha avuto un forte impatto sulla popolazione umana. Sebbene non ci siano cifre chiare, la perdita fisica di vite umane e le conseguenze fisiologiche sono state enormi. Le stime del numero di vittime umane variano enormemente .

Anche l’impatto iniziale sull’ambiente è stato importante. Una delle zone più colpite dalle radiazioni è stata la pineta nei pressi dello stabilimento, nota da allora come “Foresta Rossa”. Questa zona ha ricevuto le più alte dosi di radiazioni, i pini sono morti all’istante e tutte le foglie sono diventate rosse. Pochi animali sono sopravvissuti ai più alti livelli di radiazioni.

Pertanto, dopo l’incidente si è ipotizzato che l’area sarebbe diventata un deserto per tutta la vita. Considerando il lungo tempo che alcuni composti radioattivi impiegano per decomporsi e scomparire dall’ambiente, la previsione era che l’area sarebbe rimasta priva di fauna selvatica per secoli.

La fauna selvatica di Chernobyl oggi

Ma oggi, 33 anni dopo l’incidente, la zona di esclusione di Chernobyl, che ora copre un’area in Ucraina e Bielorussia, è abitata da orsi bruni, bisonti, lupi, linci, cavalli di Przewalski e più di 200 specie di uccelli, tra gli altri animali.

Nel marzo 2019, la maggior parte dei principali gruppi di ricerca che lavorano con la fauna selvatica di Chernobyl si sono incontrati a Portsmouth, in Inghilterra. Circa 30 ricercatori provenienti da Regno Unito, Irlanda, Francia, Belgio, Norvegia, Spagna e Ucraina hanno presentato gli ultimi risultati del nostro lavoro. Questi studi includevano lavori su grandi mammiferi, uccelli nidificanti, anfibi, pesci, bombi, lombrichi, batteri e decomposizione della lettiera.

Questi studi hanno dimostrato che attualmente l’area ospita una grande biodiversità. Inoltre, hanno confermato la generale assenza di grandi effetti negativi degli attuali livelli di radiazione sulle popolazioni animali e vegetali che vivono a Chernobyl. Tutti i gruppi studiati mantengono popolazioni stabili e vitali all’interno della zona di esclusione.

Un chiaro esempio della diversità della fauna selvatica nell’area è fornito dal progetto TREE (TRansfer-Exposure-Effects, guidato da Nick Beresford del Centre for Ecology and Hydrology del Regno Unito). Nell’ambito di questo progetto, per diversi anni sono state installate telecamere di rilevamento del movimento in diverse aree della zona di esclusione. Le foto registrate da queste telecamere rivelano la presenza di una fauna abbondante a tutti i livelli di radiazione. Queste telecamere hanno registrato la prima osservazione di orsi bruni e bisonti europei all’interno della parte ucraina della zona, nonché l’aumento del numero di lupi e cavalli di Przewalski.

Bisonte europeo (Bison bonasus), lince boreale (Lynx lynx), alce (Alces alces) e orso bruno (Ursus arctos) fotografati all’interno della zona di esclusione di Chernobyl (Ucraina). Progetto ALBERO/Sergey Gaschack

Anche il nostro lavoro con gli anfibi di Chernobyl ha rilevato popolazioni abbondanti in tutta la zona di esclusione, anche nelle aree più contaminate. Inoltre, abbiamo anche trovato segni che potrebbero rappresentare risposte adattative alla vita con le radiazioni. Ad esempio, le rane all’interno della zona di esclusione sono più scure delle rane che vivono al di fuori di essa, il che rappresenta una possibile difesa contro le radiazioni.

Una raganella orientale (Hyla orientalis), Chernobyl (Ucraina). Maggio 2018. German Orizaola

Gli studi hanno anche rilevato alcuni effetti negativi delle radiazioni a livello individuale. Ad esempio, alcuni insetti sembrano avere una vita più breve e sono più colpiti dai parassiti nelle aree ad alta radiazione. Alcuni uccelli hanno anche livelli più elevati di albinismo, così come alterazioni fisiologiche e genetiche quando vivono in località altamente contaminate. Ma questi effetti non sembrano influenzare il mantenimento della popolazione faunistica nell’area.

La generale assenza di effetti negativi delle radiazioni sulla fauna selvatica di Chernobyl può essere una conseguenza di diversi fattori:

In primo luogo, la fauna selvatica potrebbe essere molto più resistente alle radiazioni di quanto si pensasse. Un’altra possibilità alternativa è che alcuni organismi potrebbero iniziare a mostrare risposte adattative che consentirebbero loro di far fronte alle radiazioni e vivere all’interno della zona di esclusione senza danni. Inoltre, l’assenza di esseri umani all’interno della zona di esclusione potrebbe favorire molte specie, in particolare i grandi mammiferi.

Quest’ultima opzione suggerirebbe che le pressioni generate dalle attività umane sarebbero più negative per la fauna selvatica nel medio termine rispetto a un incidente nucleare: una visione abbastanza rivelatrice dell’impatto umano sull’ambiente naturale.

Il futuro di Chernobyl

Nel 2016 la parte ucraina della zona di esclusione è stata dichiarata riserva della biosfera radiologica e ambientale dal governo nazionale.

Foreste e prati a Chernobyl
Foresta e prati all’interno della zona di esclusione di Chernobyl (Ucraina). Maggio 2016. Germán Orizaola

Chernobyl è diventata negli anni anche un ottimo laboratorio naturale per lo studio dei processi evolutivi in ​​ambienti estremi, cosa che potrebbe rivelarsi preziosa visti i rapidi cambiamenti ambientali che si verificano in tutto il mondo.

Al momento, diversi progetti stanno cercando di riprendere le attività umane nell’area. Il turismo è fiorito a Chernobyl, con oltre 70.000 visitatori nel 2018. Sono previsti anche piani per lo sviluppo di centrali solari nell’area e per l’espansione del lavoro forestale. L’anno scorso c’è stata persino un’installazione artistica e una festa techno all’interno della città abbandonata di Prypiat.

Negli ultimi 33 anni, Chernobyl è passata dall’essere considerato un potenziale deserto per la vita ad essere un’area di grande interesse per la conservazione della biodiversità.

Può sembrare strano, ma ora dobbiamo lavorare per mantenere l’integrità della zona di esclusione come riserva naturale se vogliamo garantire che in futuro Chernobyl rimanga un rifugio per la fauna selvatica.

 

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Spagna, Irlanda, Portogallo: I falsi trionfi del rigore ci portano verso nuovi disastri

Spagna, Irlanda, Portogallo: I falsi trionfi del

rigore ci portano verso nuovi disastri

di Mario Seminerio | 18 luglio 2013 Articolo originale da Il Fatto Quotidiano

auster

Mentre l’intera Eurozona è in messianica attesa delle elezioni politiche tedesche del prossimo 22 settembre, lo stato dell’arte del cosiddetto risanamento dei conti pubblici procede sempre più incerto, con tentativi di aggiustamenti marginali che non fanno che rinviare il giorno del giudizio, mentre nei singoli Paesi crescono gli ostacoli di natura costituzionale ai tentativi di incidere in profondità e retroattivamente sulle voci di spesa relative a pensioni e licenziabilità dei pubblici dipendenti. Il denominatore comune è l’assenza di un “modello di successo” nella gestione della crisi, malgrado la propaganda della Commissione europea si sforzi di affermare il contrario.

Non era difficile immaginare un simile esito, da subito: questo accade, quando 17 paesi, fortemente interdipendenti, stringono la politica fiscale in contemporanea, e i loro sistemi creditizi vengono destabilizzati da deflussi di quegli stessi capitali globali che li avevano beneficiati per anni, al punto da indurre una sorta di nirvana in cui i fondamentali macroeconomici finivano col perdere rilevanza agli occhi degli investitori rispetto all’oceano di liquidità che occulta ogni problema.

Il mito assurdo dell’Irlanda
Il primo allievo prediletto della leggenda del risanamento a mezzo di austerità è stata l’Irlanda. Il paese era stato duramente colpito dallo scoppio della bolla immobiliare e il successivo salvataggio pubblico del sistema bancario attraverso la nazionalizzazione aveva fatto esplodere deficit e debito. Dopo venne una durissima austerità, fatta di aumenti di imposte e tagli di spesa pubblica e pensioni. Il Paese oppose una strenua resistenza al tentativo francese e tedesco di imporre un aumento dell’aliquota imposta sulle società (soltanto il 12,5 per cento) che rappresenta un magnete per attirare le sedi di imprese da tutto il mondo, che spesso (come nel caso di Apple) riescono ad avere un carico d’imposta anche sensibilmente inferiore alle aliquote ufficiali. Oggi, l’Irlanda ha un tasso di disoccupazione ancora molto alto, intorno al 14 per cento, peraltro frutto di un calo nel tasso di partecipazione alla forza lavoro e di emigrazione. Il deficit resta pesante, il debito è al 120 per cento del prodotto interno lordo (Pil), che è la grandezza su cui si calcola il salvataggio sovranazionale, ma balza al 145 per cento del prodotto nazionale lordo (Pnl), che non considera i profitti delle multinazionali. Il Pil indica un boom dell’export che il Pnl semplicemente non rileva, mentre Dublino attende ancora con fiducia che il fondo Salva Stati europeo Esm si prenda in carico parte del debito causato dai salvataggi bancari.

Portogallo, l’allievo prediletto
Dopo l’Irlanda, il Portogallo era l’allievo prediletto dell’ideologia del virtuosismo fiscale. Il Paese si è trovato da subito in grave affanno fiscale, ma la vulgata del risanamento a mezzo di prevalenti tagli di spesa ha resistito a lungo. Quei tagli, tuttavia, nascondevano una realtà ben più problematica: una soppressione violenta della spesa pubblica in conto capitale, che di solito è quella che può essere più agevolmente incisa rispetto a quella corrente. Abbattere gli investimenti pubblici può essere considerato una iattura o un beneficio, a seconda che tali investimenti siano la base per la crescita di lungo periodo o voragini di spreco. La riduzione della spesa corrente portoghese è stata invece fatta soprattutto con il mancato pagamento delle mensilità aggiuntive, estiva e natalizia, a dipendenti e pensionati pubblici. La Corte Costituzionale portoghese si è messa di traverso e il governo di centrodestra è stato costretto a trovare nuove coperture, individuate a inizio 2013 in folli aumenti di pressione fiscale, con un delirante aumento di circa il 30 per cento dell’aliquota media effettiva dell’imposta personale sui redditi, frutto di addizionali a pioggia su tutti gli scaglioni d’imposta. Nel frattempo, la gravità della crisi ha causato un crollo delle entrate, inizialmente compensato con la nazionalizzazione di alcuni grandi fondi pensione.

In simili circostanze si tende a ignorare che la spesa pubblica tende a espandersi spontaneamente per l’operare degli stabilizzatori automatici, cioè sussidi di disoccupazione e altri trasferimenti di welfare. Questo è un altro punto critico della gestione della crisi del debito dell’Eurozona. Sotto la fretta tedesca di “risanare”, il “suggerimento”, mai tuttavia elevato a precetto ufficiale per la sua impopolarità, è stato quello di sopprimere o ridimensionare gli stabilizzatori automatici: tagliare i sussidi di disoccupazione per tagliare la spesa pubblica. Ma una simile manovra, in Paesi che hanno un drammatico buco di domanda e gravissima stretta creditizia, significa porre le basi per continua a negoziare rinvii del percorso verso il pareggio di bilancio. L’ultima missione del Fondo monetario internazionale a Lisbona, a metà giugno, ha evidenziato una inarrestabile ascesa del rapporto debito-Pil, che quest’anno dovrebbe arrivare al 134 per cento: se il costo del debito pubblico eccede la crescita nominale del Pil, il rapporto debito-Pil si autoalimenta e distrugge l’economia. Il Portogallo, nei giorni scorsi, ha visto il rendimento richiesto dal mercato sui propri titoli di Stato decennali salire all’astronomico livello dell’8 per cento.

Per un paese il cui Pil è atteso contrarsi quest’anno del 2,5 per cento, il disastro è nell’ordine delle cose, ma questo è anche il problema di Spagna e Italia, che sono in condizioni più o meno simili, anche se noi abbiamo il vantaggio di un avanzo primario, non è chiaro per quanto tempo sostenibile. Anche questa è un’altra costante del processo di “risanamento” dei conti pubblici che sta mettendo una corda intorno al collo di alcuni Paesi. Come potrà il Portogallo rientrare sui mercati, a metà del prossimo anno, come previsto dal piano di salvataggio della Troika? Non potrà. Motivo per cui servirà una ristrutturazione degli aiuti ufficiali, come già fatto per la Grecia, con allungamento delle scadenze e riduzione del tasso d’interesse. Tuttavia, poiché i conti continueranno a non tornare, al paese verrà richiesto di moltiplicare gli sforzi di dismissione del patrimonio pubblico, come accaduto per la Grecia. Anche qui, poiché ha poco senso privatizzare in un paese il cui contesto economico è fortemente deteriorato e in cui il credito manca, avremo un buco di entrate rispetto alle previsioni, motivo per cui la ristrutturazione degli aiuti ufficiali, dovendo rispettare il vincolo dell’importo originariamente erogato, richiederà anche la ristrutturazione del debito pubblico portoghese, cioè un default. Ma questo metterà le banche locali a rischio di insolvenza, visto che sono piene di titoli di Stato del proprio paese.

La Spagna si è avvitata
Il drammatico processo di avvitamento verso il dissesto è ancora più chiaro nel caso spagnolo: a fine marzo, il rapporto debito-Pil del paese era all’88,2 per cento. Nel 2007, prima della crisi, era intorno al 36 per cento. Un aumento di oltre 600 miliardi di euro, frutto del crollo del gettito d’imposta, delle spese per stabilizzatori automatici e degli aiuti al settore bancario in crisi, inclusi i 40 miliardi ricevuti dall’Europa e che peseranno sul debito sovrano. Negli ultimi sei mesi il debito è cresciuto di 106 miliardi di euro. Anche qui è all’opera la regola infernale: nel 2012 il Pil nominale spagnolo è diminuito dell’1,3 per cento, mentre il costo medio all’emissione dei titoli di Stato decennali è stato del 5,5 per cento e il deficit primario del 4 per cento. Nel 2013 il Pil nominale è atteso crescere di un esile 0,2 per cento, e nel 2014-2016 del 2,5 per cento. Troppo poco, se nel frattempo il costo medio del debito non registrerà un crollo al momento improbabile.

In questi mesi si è affermata una leggenda metropolitana secondo la quale la Spagna starebbe registrando un vero miracolo delle esportazioni, grazie alla riduzione del costo del lavoro, e questo sarebbe l’inizio della riscossa del paese. Le cose non stanno così, purtroppo: con una domanda interna prostrata e un sistema creditizio occluso, l’export da solo non permetterà alla Spagna di riprendere a crescere in modo tale da rendere sostenibile il proprio debito. Questa considerazione vale anche per quanti, in Italia, sono convinti che l’export da solo possa toglierci dai guai.

L’illusione dell’export
Nessun recupero di competitività può contrastare una simile degenerazione dei rapporti di debito, soprattutto considerando che il miglioramento dei saldi delle partite correnti, per i Paesi europei in sofferenza, è avvenuto soprattutto attraverso la distruzione della domanda interna e il conseguente crollo delle importazioni. E le mie importazioni sono le esportazioni del mio vicino partner commerciale. Alcuni elementi di questa crisi (il rapporto di indebitamento) vanno a una velocità nettamente superiore a quella delle riforme di struttura: l’evoluzione converge verso il dissesto, a meno di un “qualcosa” che ripristini condizioni di crescita, cioè di sostenibilità del debito, pubblico e privato. Ad oggi, continua a non essere chiaro cosa possa essere quel qualcosa, in assenza di un enorme piano di stimolo, basato su tagli d’imposta in deficit e/o su spesa pubblica su scala continentale, una pura utopia. Se il quadro europeo resterà quello oggi in essere, sarà pressoché impossibile evitare un redde rationem sullo stock di debito, pubblico e privato, di alcuni paesi europei.

 

 

 

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Italia Spagna 1 – 1. NO 7 a 3. Parola di Nigel Farage.

Italia Spagna 1 – 1 . NO 7 a 3 !!!

 

Mi scuseranno i fans del calcio se prendo in prestito un risultato ottenuto su un prato verde per portarvi su un prato che che di verde fa diventare il volto di tutti gli economisti.

E a denunciare l’ennesimo, sconcertante  colpo di genio dei “governatori” europei è Nigel Farage, il politico inglese che da tenpo si batte per le sovranità degli stati.

I fatti sono semplici Per salvare le banche spagnole si  è concesso un prestito di cento miliardi. L’Italia parteciperà ( o meglio DEVE  partecipare) per il 20% .

Il prestito sarà concesso a un tasso del 3%. Ma l’Italia per procurarsi questo 20%, deve indebitarsi sui mercati finanziari.

A che tasso ? Al 7%.

Dice Farage: ”  Insomma, quello che stiamo facendo con questo accordo è che stiamo accompagnando paesi come l’Italia all’esigenza di salvarsi da soli. In aggiunta, ricarichiamo con un ulteriore 10 per cento il debito pubblico spagnolo e vi dico una cosa, che ogni analista bancario vi direbbe: cento miliardi non risolvono il problema bancario della Spagna: dovrebbero essere oltre quattrocento! E con la Grecia che barcolla in bilico sull’orlo dell’uscita dall’Euro, il vero elefante nella stanza è che quando la Grecia se ne va, la BCE, la Banca Centrale Europea, falisce. Andata!
Ha 444 miliardi di euro di esposizione verso i paese salvati e per sistemare la situazione dovreste chiedere immediata liquidità all’Irlanda, alla Spagna, al Portogallo, alla Grecia e all’Italia. Non ce la potete fare, no! E’ un fallimento totale ed assoluto. Questa nave, l’Euro Titanic, ha impattato contro l’iceberg ed è triste ma, semplicemente, non ci sono abbastanza scialuppe di salvataggio.”

 

 

 

 

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