Le bufale sul fascismo a cui la gente continua a credere

Le bufale sul fascismo a cui la gente continua a credere

A partire dal caso della “spiaggia fascista” di Chioggia, per poi passare alla proposta di legge di Emanuele Fiano o alle dichiarazioni (fraintese) di Laura Boldrini sui monumenti del regime, questo luglio ci siamo confrontati praticamente ogni giorno sul fascismo e la sua eredità.

Per alcuni commentatori, l’Italia non ha mai fatto veramente i conti con il Ventennio e dunque è destinata a essere perennemente attraversata da pulsioni nostalgiche o antidemocratiche. Dall’altro lato episodi come quello di Playa Punta Canna sono definiti innocue “goliardate,” e insieme a derubricazioni di questo tipo continuano a resistere le argomentazioni più o meno revisioniste—del tipo che nel Ventennio, comunque la si pensi, qualcosa di buono è stato fatto; o che comunque non era così malaccio come ci hanno sempre fatto credere.

Quest’ultimi sono dei refrain che si sentono da tempo immemore, ma che con l’avvento dei social stanno vivendo una sorta di seconda epoca d’oro.

In particolare, proprio in concomitanza con le polemiche delle ultime settimane, sul FascioFacebook (e non solo) hanno ricominciato a girare una serie di miti e leggende sulle grandi conquiste sociali ed economiche del fascismo—conquiste che sono contrapposte alla contemporaneità, e servono sostanzialmente a dire: “Vedete? Mentre i politici di adesso non fanno un cazzo, LVI le cose le faceva sul serio!”

Visto che tali bufale riaffiorano di continuo—e dimostrano un’incredibile persistenza proprio perché distorcono verità storiche e le mescolano con la disinformazione—ho pensato di mettere in fila quelle che hanno avuto più successo e risonanza.

IL DUCE HA CREATO LE PENSIONI

Quella di Mussolini che ha creato da zero il sistema pensionistico di cui godremmo tutt’ora è senza dubbio la bufala più persistente e di successo, al punto tale che un anno fa Matteo Salvini ha dichiarato: “Per i pensionati ha fatto sicuramente di più Mussolini che la Fornero. […] La previdenza sociale l’ha portata Mussolini.”

In realtà, non è proprio così. Come si può agevolmente verificare sul sito dell’INPS, la previdenza sociale nasce nel 1898 con la creazione della Cassa Nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai. Si trattava di un'”assicurazione volontaria integrata da un contributo di incoraggiamento dello Stato e dal contributo anch’esso libero degli imprenditori.”

Nel 1919 l’iscrizione alla Cassa diventa obbligatoria e interessa 12 milioni di lavoratori. Vent’anni dopo, il regime promuove varie misure previdenziali, tra cui le assicurazioni contro la disoccupazione, gli assegni familiari e la pensione di reversibilità. La pensione sociale, tuttavia, è istituita solo nel 1969—ossia a 24 anni dalla morte di Mussolini.

IL DUCE CI HA REGALATO LA TREDICESIMA

Un’altra leggenda che circola molto (soprattutto sotto Natale) è la seguente: se abbiamo un mese di stipendio in più è merito esclusivo della magnanimità di Mussolini. Anche in questo caso, tuttavia, la storia è diversa.

Nel Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro del 1937 venne effettivamente introdotta una “gratifica natalizia.” La mensilità in più era tuttavia destinata ai soli impiegati del settore dell’industria; e non ad esempio agli operai dello stesso settore, che anzi si videro aumentare le ore di lavoro giornaliero fino a 10, e 12 con gli straordinari non rifiutabili.

Come scritto in questo post, insomma, si trattava di una misura “in piena linea con quelle che erano le normali politiche dell’epoca fascista, in una società […] bloccata sul corporativismo basato non sul diritto per tutti, ma sul privilegio di pochi gruppi e settori.”

La vera tredicesima è stata istituita prima con l’accordo interconfederale per l’industria del 27 ottobre 1946, e poi estesa a tutti i lavoratori con il decreto 1070/1960 del presidente della Repubblica.

SOLO CON IL FASCISMO L’ITALIA HA RAGGIUNTO IL PAREGGIO DI BILANCIO

il “Governo Fascista” raggiunse il pareggio di bilancio nel 1924, praticamente grazie alla lotta contro gli sprechi e alla riduzione delle tasse. Morale della favola: con tutte le tasse che ci sono adesso, invece, i conti dello Stato non tornano mai. Ergo: la Casta è inetta, ci soffoca con la pressione fiscale, e dunque si stava meglio prima.

Ora, il pareggio di bilancio fu effettivamente raggiunto (nel 1925, e non nel 1924). Ma come tutte le disinformazioni che si rispettino, si evita accuratamente di dire cose successe prima e dopo il raggiungimento di quel traguardo.

L’artefice fu il ministro delle finanze e dell’economia, Alberto De Stefani. Dal 1922 in poi, l’economista spinse per la liberalizzazione dell’economia, cercò di contenere l’inflazione, ridusse la spesa pubblica e la disoccupazione. La sua politica di “neoliberismo autoritario” era però vista di cattivo occhio sia dalla parte più radicale del fascismo, che soprattutto da latifondisti, industriali e grandi capitalisti.

Non a caso, nel luglio del 1925 venne destituito dopo aver presentato ripetutamente le dimissioni; e da lì in poi iniziò ad assumere posizioni sempre più critiche (non in senso democratico o antifascista, ovviamente) nei confronti del regime e della sua nuova politica economica che—tra la Grande Depressione, l’autarchia e tutto il resto—portò il paese allo sfascio. Per citare un articolo che si è occupato di smontare il messaggio implicito di questo mito, “un modello che è crollato su se stesso non è il miglior modello.”

IL DUCE HA RICOSTRUITO I PAESI TERREMOTATI IN UN BATTER D’OCCHIO

Anche la storia della prodigiosa ricostruzione del Duce dopo il terremoto del Vulture (in Lucania) del 23 luglio 1930 è piuttosto ricorrente.

La fonte primaria, ripresa dai siti di estrema destra e replicata in vari meme, è un articolo del Secolo d’Italia pubblicato dopo il terremoto che l’anno scorso ha colpito il centro Italia. In esso si sostiene che in appena tre mesi si costruirono 3.746 case e se ne ripararono 5.190, e si infila pure il commento agiografico “altri tempi, ma soprattutto altre tempre…”

Il dato è però parziale e decontestualizzato. Come si può verificare dal sito dell’INGV, nell’ottobre del 1930 furono ultimate “casette asismiche in muratura corrispondenti a 1705 alloggi” e “riparate dal genio Civile 2340 case.” Solo nel settembre del 1931—a operazioni ultimate—si raggiunge la cifra indicata nell’articolo, che corrisponde a 3.746 alloggi in 961 casette. Insomma: i numeri sono comunque rilevanti per l’epoca, ma non è semplicemente vero che in appena tre mesi fu ricostruito tutto da zero.

IL FASCISMO HA RESO L’ITALIA UN FARO PER LE SCOPERTE SCIENTIFICHE

Nei primi anni del regime però, come ricostruisce dettagliatamente questo articolo sulla Treccani, il governo “aveva sostanzialmente ignorato tutte le questioni connesso con l’organizzazione della struttura di ricerca scientifica,” che rimaneva quella dell’Italia liberale ed era carica di problemi. Nel 1923 venne avviato il CNR (Consiglio nazionale delle ricerche), la prima struttura deputata a svolgere ricerca “su temi di interesse generale.” La sua attività fu subito caratterizzata dalla penuria dei finanziamenti, segno della “scarsa fiducia nel nuovo ente che ancora nutriva Mussolini.”

Col passare degli anni, nonostante i proclami e la propaganda, il CNR non divenne mai incisivo e non produsse nulla di significativo, soprattutto perché la sua unica indicazione di ricerca era quella per l’autarchia—un’indicazione troppo generica. Lo scoppio della seconda guerra mondiale, poi, “allontanò in modo generalizzato i più giovani tra ricercatori, assistenti, tecnici di laboratorio e, in breve tempo, il lavoro scientifico rallentò fino alla quasi totale paralisi.”

Nel 1938, a riprova di quanto al fascismo non fregasse nulla della scienza, l’ambiente scientifico italiano era stato travolto dal più infame e antiscientifico degli atti politici del regime: la promulgazione delle leggi razziali. Il che mi porta all’ultima leggenda che ho scelto per compilare questa lista.

IL DUCE NON ERA RAZZISTA, E NEMMENO IL FASCISMO ERA UN REGIME RAZZISTA

Con ogni probabilità questa è la mistificazione più odiosa, che fa leva sul radicato stereotipo del “bravo italiano” e del “cattivo tedesco.”

Se è vero che in un primo momento i rapporti tra gli ebrei e il fascismo furono “normali,” e lo stesso Mussolini—nel libro Colloqui con Mussolini—disse che “l’antisemitismo non esiste in Italia,” le cose cambiarono progressivamente con la torsione totalitaria del regime e sfociarono infine nelle persecuzioni.

La maggior parte della storiografia è ormai concorde sul fatto che l’antisemitismo e le leggi razziali non furono introdotte per imposizione della Germania—il Manifesto della razza, ad esempio, pare che sia stato scritto dallo stesso Mussolini.

Piuttosto, come sostiene lo storico Enzo Collotti, la “spinta a una politica della razza nel fascismo italiano” da un lato era “iniziativa e prodotto autonomo” del regime—specialmente dopo il 1933 e l’affermazione del nazismo—e dall’altro era una scelta “connaturata allo stesso retaggio nazionalista, che esaltava la superiorità della stirpe come fatto biologico e non solo culturale.”

Lo stesso discorso si può fare con la “civilizzazione” delle colonie, che si pone in perfetta continuità con quanto detto sopra. Secondo Collotti, la guerra d’aggressione contro l’Etiopia nel 1935 è stata “l’occasione per mettere a fuoco una politica razzista dell’Italia fascista”; e dopo la conquista del paese—mai completata fino in fondo—”fu instaurato un vero e proprio regime di separazione razziale, un vero e proprio prototipo di apartheid.”

Dire che il fascismo non era un regime razzista è negare una delle sue caratteristiche fondamentali. Se si porta all’estremo questo ragionamento, si finisce col dire che il fascismo non era fascista. E non penso che al Duce farebbe molto piacere, no?

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Diritti Inespressi. Aumento nelle pensioni ?

Diritti Inespressi.

Aumento nelle pensioni ? Cosa sono ? A chi spettano ?

Alcuni trattamenti assistenziali e previdenziali vengono erogati dall’Inps solo in seguito alla presentazione di una specifica domanda. Si tratta ad esempio di maggiorazioni sociali, importi aggiuntivi, assegni al nucleo familiare, prestazioni a favore degli invalidi civili e integrazioni sui trattamenti minimi, chiamati inespressi perché per questi non è prevista l’erogazione automatica da parte degli uffici preposti. Se il cittadino non fa esplicitamente richiesta, il diritto viene ignorato. A volte rientrano in questa categoria i diritti sorti dopo la liquidazione della pensione.

Tuttavia, non si tratta di un aumento identico per tutte le pensioni, e quasi sempre le maggiorazioni risulterebbero ben inferiori ai 300 euro e dunque non si tratterebbe di “una grande somma” come in più occasioni annunciato. In molti casi, secondo quanto riferito dai sindacati, le cifre recuperabili sono tra i 40 e i 50 euro mensili: somme che possono comunque fare la differenza per chi percepisce pensioni molto basse. Si stima inoltre che circa un terzo dei pensionati (6 milioni su un totale di 18) potrebbe ricevere un aumento, dunque ogni pensionato ha tutto l’interesse a verificare ed esprimere i propri diritti.

Statistiche alla mano, spesso le maggiorazioni più significative riguardano i cittadini che percepiscono una pensione inferiore agli 850 euro lordi, per i quali l’esercizio dei diritti inespressi consente già di recuperare in tutto il Paese alcuni milioni di euro l’anno. Il Lazio sembra essere, in questo senso, la regione più virtuosa, seguito da Piemonte, Puglia, Veneto e Liguria.

Cosa potrebbe fare quindi un pensionato ? Anzitutto, non farsi prendere dal panico ed evitare di prendere d’assalto gli sportelli dell’Inps. In secondo luogo, verificare il proprio assegno pensionistico e controllare che siano inclusi tutti i possibili diritti. L’Inps e i centri di assistenza fiscale ( Caf ) sono a disposizione per aiutare i cittadini se la burocrazia risulta troppo complessa, dato che il mancato invio a casa dei cedolini della pensione rende necessaria una consultazione online. Non occorre però agire di fretta, perché non c’è alcuna scadenza e non si tratta di un bonus né occasionale né temporaneo, ma anzi è prevista anche la possibilità di fare richieste retroattive.
Esistono in effetti alcune prestazioni aggiuntive sugli assegni pensionistici che non vengono erogate in automatico dall’ Inps ma per le quali è necessario presentare un’apposita richiesta:

Integrazione al trattamento minimo;
Maggiorazioni sociali della pensione e incremento;
Importo aggiuntivo dell’assegno pensionistico;
Quattordicesima mensilità;
Prestazioni a favore degli invalidi civili;
Assegno al nucleo familiare.

Nella maggior parte dei casi le prestazioni di cui sopra sono già erogate ai pensionati poiché richieste nel momento di presentazione della domanda di pensione e verificate annualmente attraverso la presentazione dei modelli reddituali che L’Inps richiede, per il tramite dei Caf, ai pensionati.

E’ anche vero, però, che su alcune pensioni potrebbero spettare queste maggiorazioni che non sono mai state richieste dai pensionati.

Il problema vero è che il pensionato, ormai da alcuni anni, non riceve dall’Inps nessuna comunicazione cartacea in merito alla propria pensione; non viene infatti più spedito né il modello ObisM né il cedolino mensile e di conseguenza, la maggior parte dei pensionati che non possiedono un pin per collegarsi al sito dell’Inps, si trovano nell’impossibilità di sapere quello che realmente stanno percependo.

Allora cosa fare ? Premesso che non si tratta di un aumento generalizzato delle pensioni di 300 euro, bisogna verificare se ci siano diritti inespressi da richiedere sulla propria pensione facendosi rilasciare dall’Inps o da un patronato il proprio ObisM. Una volta in possesso di questo documento il pensionato, con l’aiuto, appunto, dei patronati che prestano assistenza gratuita, potrà controllare se sulla propria pensione vengono corrisposte tutte le somme spettanti, in caso contrario, verificati i limiti di reddito previsti per avere diritto alle maggiorazioni sopraelencate, si potranno richiedere i diritti inespressi.

Nel caso di verifica positiva le somme da percepire non saranno di 300 euro come propagandato ma varieranno in base alla singola posizione del pensionato e, eventualmente, si potranno richiedere gli arretrati relativi agli ultimi cinque anni.
Per verificare se ci sono diritti inespressi da recuperare, è bene rivolgersi al proprio patronato di fiducia e chiedere il controllo della pensione percepita.
Tale verifica viene effettuata gratuitamente come pure l’invio della domanda all’Inps per l’eventuale ricalcolo della pensione. La prescrizione del diritto è quinquennale, quindi sarà possibile recuperare le somme spettanti e mai percepite fino ai cinque anni precedenti.

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Sintesi del fascismo e bufale dei fascisti odierni

Sintesi del fascismo e bufale dei fascisti odierni

Originale da QUI

È da molto tempo che circolano su internet bufale sul fascismo e su Mussolini, spesso strumentalizzate a fini politici o di riabilitazione del fascismo, che vengono condivise da molte persone ignare della loro attendibilità. Qui di seguito verranno riportati alcuni miti su Mussolini.

Per ben inquadrare il periodo storico, ricordiamo che governò l’Italia dal 28 ottobre 1922 alla fine del fascismo con la seconda guerra mondiale, finendo per essere giustiziato dagli italiani il 28 aprile 1945 (data che coincide con la fine di quello che restava del fascismo).
Invece, per inquadrare bene Mussolini ed il fascismo, ecco spiegato in breve i suoi doni all’Italia.

Squadrismo e violenza politica

Fra le attività “qualificanti” del fascismo del primo periodo vi è il sistematico ricorso alla violenza contro gli avversari politici, le loro sedi e le loro organizzazioni, da parte di bravacci legati ai ras locali. Torture, olio di ricino, umiliazioni, manganellate. Non di rado, tuttavia, gli oppositori perdevano la vita a seguito delle violenze.

Un calcolo approssimativo induce a calcolare in circa 500 i morti causati dalle spedizioni punitive fasciste fra il 1919 e il 1922. Il parroco di Argenta, don Giovanni Minzoni, fu assassinato in un agguato da due uomini di Balbo, nell’agosto del 1923. Ma anche quando il fenomeno della violenza squadrista sembrò perdere le proprie caratteristiche originarie, e gli uomini legati ai ras locali vennero convogliati in organizzazioni ufficiali come la Milizia volontaria, forme di violenza politica sostanzialmente analoghe allo squadrismo non cessarono di costellare la vicenda del fascismo al potere.

Per tutti, tre casi notissimi: nel giugno 1924 Giacomo Matteotti venne rapito e assassinato con metodo squadrista, e il gesto sarebbe stato esplicitamente rivendicato da Mussolini nel gennaio dell’anno successivo; Piero Gobetti, minato dall’aggressione subita nel settembre 1924, morì due anni dopo, in esilio; Giovanni Amendola spirò per le ferite riportate in un’aggressione fascista subita nel luglio 1925.

La repressione – dagli omicidi al Tribunale speciale per la difesa dello Stato

Assunto il potere Mussolini si poté giovare dell’apparato di repressione dello Stato. Che venne rafforzato e riorganizzato. Con la nascita dell’OVRA (l’Organizzazione per la Vigilanza e la Repressione dell’Antifascismo) venne razionalizzata la persecuzione degli antifascisti, con tutti i mezzi, legali e illegali. Anche l’omicidio politico in paese straniero. Arturo Bocchini, capo della polizia, venne incaricato dallo stesso Duce e dal ministro degli Esteri Galeazzo Ciano di eliminare fisicamente Carlo Rosselli che allora risiedeva a Parigi.

Il 9 giugno 1937, a Bagnoles-de-l’Orne dove Carlo Rosselli e il fratello Nello si erano recati per trascorrere il fine settimana, un commando di cagoulards (gli avanguardisti francesi) compì la missione: bloccata l’auto sulla quale viaggiavano i due fratelli, Carlo e Nello furono prima pestati, poi, accoltellati a morte. Lo strumento ufficiale della repressione fascista fu invece il Tribunale speciale per la difesa dello Stato. L’attentato di Anteo Zamboni a Mussolini, il 31 ottobre 1926, offrì l’occasione di una serie di misure repressive.

Tra queste la “legge per la difesa dello Stato”, n. 2008 del 25 novembre 1926, che stabilì, tra l’altro, la pena di morte per chi anche solo ipotizzava un attentato alla vita del re o del capo del governo. A giudicare i reati in essa previsti, la nuova normativa istituì il Tribunale speciale, via via prorogato fino al luglio 1943, quindi ricostituito nel gennaio 1944, nella Rsi. Nel corso della sua attività, emise 5619 sentenze e 4596 condanne. Tra i condannati anche 122 donne e 697 minori. Le condanne a morte furono 42, delle quali 31 furono eseguite mentre furono 27.735 gli anni di carcere. Tra i suoi ‘beneficati’, ci furono Antonio Gramsci, che morì in carcere nel 1938, il futuro presidente della Repubblica Sandro Pertini e Michele Schirru, fucilato nel 1931 solo per avere espresso “l’intenzione di uccidere il capo del governo”.

Il confino

Il confino di polizia in zone disagiate della Penisola, fu una misura usata con straordinaria larghezza. Il regio decreto 6 novembre 1926 n.1848 stabilì che fosse applicabile a chiunque fosse ritenuto pericoloso per l’ordine statale o per l’ordine pubblico. A un mese dall’entrata in vigore della legge le persone confinati erano già 600, a fine 1926, oltre 900, tutti in isolette del Mediterraneo o in sperduti villaggi dell’Italia meridionale. A finire al confino furono importanti nomi della futura classe dirigente: da Pavese a Gramsci, da Parri a Di Vittorio, a Spinelli. Gli inviati al confino furono, complessivamente, oltre 15.000. Ben 177 antifascisti morirono durante il soggiorno coatto.

Deportazione

La politica antiebraica del regime fascista culminò nelle leggi razziali del 1938. Alla persecuzione dei diritti subentrò, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, anche la persecuzione delle vite. La prima retata attuata risale al 16 ottobre 1943 a Roma; degli oltre 1250 ebrei arrestati in quell’occasione, più di 1000 finirono ad Auschwitz, e di essi solo 17 erano ancora vivi al termine del conflitto.

Il Manifesto programmatico di Verona (14 novembre 1943) sancì che gli ebrei erano stranieri e appartenevano a “nazionalità nemica”. Di lì a poco un ordine di arresto ne stabilì il sequestro dei beni e l’internamento, in attesa della deportazione in Germania.

Nelle spire della “soluzione finale” hitleriana il regime fascista gettò, nel complesso, circa 10.000 ebrei. Oltre alla deportazione razziale, fra le responsabilità del regime di Mussolini c’è anche la deportazione degli oppositori politici e di centinaia di migliaia di soldati che, dopo l’8 settembre, preferirono rischiare la vita nei campi di concentramento in Germania piuttosto che aderire alla Rsi.

La guerra

Fuori dai confini i morti contano meno? Allora non si possono proprio considerare tali gli etiopi uccisi con il gas durante la guerra per l’Impero, o i libici torturati e impiccati durante le repressioni degli anni Venti e Trenta, o gli jugoslavi uccisi nei campi di concentramento italiani in Croazia. Ma la spada di Mussolini provocò tanti morti anche tra i suoi connazionali. Mussolini trascinò in guerra l’Italia il 10 giugno del 1940, per partecipare al banchetto nazista. I risultati, per l’Italia, furono questi. Fino al 1943, 194.000 militari e 3.208 civili caduti sui fronti di guerra, oltre a 3.066 militari e 25.000 civili morti sotto i bombardamenti alleati.

Dopo l’armistizio, 17.488 militari e 37.288 civili caduti in attività partigiana in Italia, 9.249 militari morti in attività partigiana all’estero, 1.478 militari e 23.446 civili morti fra deportati in Germania, 41.432 militari morti fra le truppe internate in Germania, 5.927 militari caduti al fianco degli Alleati, 38.939 civili morti sotto i bombardamenti, 13.000 militari e 2.500 civili morti nelle file della Rsi. A questi vanno aggiunti circa 320.000 militari feriti sui vari fronti per l’intero periodo bellico 1940/1945 e circa 621.000 militari fatti prigionieri dalle forze anglo-americane sui vari fronti durante il periodo 1940/1943.

I Miti e la realtà

Mito: I fascisti non hanno mai rubato

Realtà: Si è sempre detto che il Fascismo è stata una dittatura che ha strappato la libertà agli italiani ma che almeno i fascisti non hanno mai rubano, non sono stati corrotti. Invece non è così. Mussolini non fa in tempo a prendere il potere che la corruzione già dilaga. Un sistema corrotto scoperto già da Giacomo Matteotti: denuncia traffici di tangenti per l’apertura di nuovi casinò, speculazioni edilizie, di ferrovie, di armi. Affari in cui è coinvolto il futuro Duce attraverso suo fratello Arnaldo.

E poi c’è l’affare Sinclair Oil: l’azienda americana pur di ottenere il contratto di ricerche petrolifere in esclusiva sul suolo italiano paga tangenti a membri del governo, e ancora ad Arnaldo, per oltre 30 milioni di lire. Matteotti lo scopre ma il 10 giugno 1924 viene rapito da una squadraccia fascista e ucciso. Messo a tacere il deputato socialista, di questa corruzione dilagante gli italiani non devono, non possono assolutamente più sapere. Speculazioni, truffe, arricchimenti improvvisi, carriere strepitose e inspiegabili: gerarchi, generali, la figlia Edda e il genero Galeazzo Ciano e Mussolini stesso! Nessuno rimane immune. I documenti scoperti e mostrati da storici di assoluto valore come Mauro Canali, Mimmo Franzinelli, Lorenzo Benadusi, Francesco Perfetti, Lorenzo Santoro presso l’Archivio Centrale dello Stato sono prove che inchiodano il fascismo alla verità.

I documenti scoperti e mostrati da storici di assoluto valore come Mauro Canali, Mimmo Franzinelli, Lorenzo Benadusi, Francesco Perfetti, Lorenzo Santoro presso l’Archivio Centrale dello Stato sono prove che inchiodano il fascismo alla verità. È stato anche realizzato un documentario RAI che lo testimonia bene (qui)

Mito: Devi ringraziare il Duce se esiste la pensione.

Realtà: In Italia la previdenza sociale nasce nel 1898 con la fondazione della “Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai”, un’assicurazione volontaria integrata da un contributo di incoraggiamento dello Stato e dal contributo anch’esso libero degli imprenditori. Mussolini aveva in quella data l’età 15 anni. L’iscrizione a tale istituto diventa obbligatoria solo nel 1919, durante il Governo Orlando, anno in cui l’istituto cambia nome in “Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali”. Mussolini fondava in quella data i Fasci Italiani e non era al governo.

Tutta la storia della nostra previdenza sociale è peraltro verificabile sul sito dell’Inps. La pensione sociale viene introdotta solo nel 1969. Mussolini in quella data è morto da 24 anni.

Mito: La cassa integrazione guadagni è stata pensata e creata dal Duce per aiutare i lavoratori di aziende senza lavoro.

Realtà: La cassa integrazione guadagni (CIG) è un ammortizzatore sociale per sostenere i lavoratori delle aziende in difficoltà economica. Nasce nell’immediato dopoguerra per sostenere i lavoratori dipendenti da aziende che durante la guerra furono colpite dalla crisi e non erano in grado di riprendere normalmente l’attività. Quindi la cassa integrazione nasce per rimediare ai danni causati dal fascismo e della guerra che hanno causato milioni di disoccupati.

Nel 1939, tramite circolari interne, veniva prevista la possibilità, prevista senza un reale quadro normativo per poterla applicare, visto che allora era totalmente inutile.

L’Italia, già coinvolta nelle guerre nelle colonie (Libia, Abissinia) si stava preparando all’entrata in guerra al fianco della Germania e l’industria (soprattutto quella bellica) era in gran fermento, motivo per cui non solo si lavorava a turni pesantissimi ma si assistette addirittura al primo esodo indotto di lavoratori dall’agricoltura all’industria.

La Cassa Integrazione Guadagni, nella sua struttura è stata costituita solo il 12 agosto 1947 con DLPSC numero 869, misura finalizzata al sostegno dei lavoratori dipendenti da aziende che durante la guerra erano state colpite e non erano in grado di riprendere normalmente l’attività.

Mito: Ai tempi del Duce eravamo tutti più ricchi.

Realtà: Mussolini permise agli industriali e agli agrari di aumentare in modo consistente i loro profitti, a scapito degli operai. Infatti fece approvare il loro contenimento dei salari.

Nel 1938, dopo 15 anni di suo operato, la situazione economica dell’italiano medio era pessima, il suo reddito era circa un terzo di quello di un omologo francese.

Mito: grazie al Duce la disoccupazione non esisteva

Realtà: non vi era un reale stato di benessere dell’economia ma in realtà l’Italia stava preparando l’entrata in guerra e tutte le industrie (e l’artigianato) che direttamente o indirettamente fornivano l’esercito lavoravano a pieno regime. Senza contare le masse arruolate nell’esercito per poi essere usate come carne da macello per i sogni di gloria del duce.

Per contro, l’accesso al lavoro era precluso a tutti coloro che non sottoscrivevano la tessera del Partito Nazionale Fascista, sanzione che era estesa anche ai datori di lavoro che eventualmente li impiegassero. Motivo per cui durante il fascismo assistemmo ai flussi migratori di tutti coloro che per motivi politici non intesero allinearsi al regime ma avevano una famiglia da mantenere.

Il 27 maggio 1933 l’iscrizione al partito fascista è dichiarata requisito fondamentale per il concorso a pubblici uffici; il 9 marzo 1937 diventa obbligatoria se si vuole accedere a un qualunque incarico pubblico e dal 3 giugno 1938 non si può lavorare se non si ha la tanto conclamata tessera.

Mito: Il Duce ha fatto costruire grandi strade in Italia.

Realtà: Il programma infrastrutturale che prevedeva la costruzione delle strade completate durante il ventennio cominciò già durante il quinto governo di Giovanni Giolitti, avendo constatato l’impossibilità di uno sviluppo industriale in mancanza di solide strutture. Infatti, la necessità di realizzare infrastrutture in Italia fu un’idea di Giovanni Giolitti durante il suo quinto governo (15 giugno 1920/7 aprile 1921), avendo constatato l’impossibilità di uno sviluppo industriale in mancanza di solide strutture, sviluppo industriale dimostratosi necessario dal confronto con le altre grandi potenze che avevano partecipato al primo conflitto mondiale.

Tale “rivoluzione” non potè essere attuata da Giovanni Giolitti, prima, e dal governo Bonomi che ne seguì solo per i sette mesi che resse a causa del boicottaggio e dell’ostruzionismo politico da parte del nascente fascismo, prima generico movimento popolare (1919) e poi soggetto in forma di partito dal 1921, con la costituzione del Partito Nazionale Fascista.

Mito: “quando c’era lui i treni arrivavano in orario”

Realtà: non è vero. Come spiega questo articolo dell’Indipendent, si tratterebbe infatti di un mito derivante dalla propaganda durante il Ventennio.

La puntualità dei treni era infatti per la propaganda fascista il simbolo del ritorno all’ordine nel paese ma, in realtà, è solo grazie alla censura sistematica delle notizie riguardanti incidenti e disservizi ferroviari che questa immagine si è potuta formare.

Mito: Il governo di Mussolini raggiunse il pareggio di bilancio il primo aprile 1924 (e quindi è migliore dei governi attuali)

Realtà: Partiamo malissimo perché il pareggio è successo nel 1925 ed in altra data. Il mito calca la mano sul concetto fondamentale che il governo fascista fu in grado di pareggiare il bilancio dello stato mentre i governi attuali siano degli inetti. Che ci sia riuscito non c’è dubbio, ma era già successo prima che Mussolini salisse al governo (fu Minghetti a realizzarlo) nel 1876. Quindi dovremmo replicare anche le politiche economiche di 2 secoli fa?

All’inizio del ventennio l’Italia arrivava da un periodo di indebitamento causato dalla Guerra Mondiale e furono adottati dei provvedimenti corretti come le liberalizzazioni, riduzione delle spese e l’espansione industriale aiutò moltissimo, ma è possibile secondo voi paragonare l’economia di inizio ‘900 con quella attuale?

Come ogni disinformazione che si rispetti è più importante quello che si sta dimenticando di dire, e cioè che negli anni successivi però andò tutto in vacca: la crisi mondiale in parte e il disinteresse dell’economia del Duce, molto più interessato a fare la guerra, portarono il bilancio in negativo vanificando tutti gli sforzi fatti. La politica di autarchia messa in atto limitò moltissimo le importazioni e le esportazioni, politica totalmente inapplicabile oggi. Oltre ad aver causato la distruzione della nazione nella Seconda Guerra Mondiale.

Citando Totò: “L’operazione è riuscita, ma il paziente è morto”

Ha poi senso paragonare le scelte fatte quasi 100 anni fa a quelle attuali? Non è corretto né economicamente né storicamente. Un modello che è crollato su se stesso non è il miglior modello.

Mito: Mussolini rinunciò al suo stipendio per risanare l’economia e finanziare la guerra

Realtà: che Mussolini abbia o meno rinunciato al suo stipendio è irrilevante essendo stato un dittatore: dubito che le sue spese personali fossero state proporzionate al suo stipendio e il “dover finanziare una guerra” fu proprio quello che portò a sciupare quello che aveva fatto (per Mussolini era inconcepibile che non si facessero guerre, erano nella natura dell’uomo).

Mito: Mussolini non aumentò le tasse

Realtà: a parte i primi anni non è vero che le tasse non furono aumentate, un po’ alla volta nuove tasse colpirono gli italiani e la lira che aveva rafforzato nei primi anni venne svalutata più volte per poter tirare avanti. In parole povere davanti alle difficoltà il governo prese di volta in volta decisioni diverse e logicamente variavano anche di molto in base al momento storico. Non si può dire “Mussolini non aumentò le tasse”.

Mito: Mussolini impose ai membri del governo l’uso delle biciclette facendo risparmiare miliardi al popoli italiano

Realtà: Non esiste nessuna conferma sulla fiaba delle biciclette. Anzi ad un certo punto per spingere l’industria dell’automobile si mise una tassa sulla bici e, almeno in alcune grandi città, si cominciò a limitarne l’uso. Sull’effettivo risparmio di questa manovra come prima pesa il non detto: a chi rimosse l’auto? Quante erano le auto? Furono risparmiati miliardi di lire? Se parliamo di miliardi di lire (ne considero almeno due per essere plurale) del 1925 parliamo di circa 1.5 Miliardi di euro oggi con la rivalutazione monetaria. Al 2012 la spesa per autoblu e autogrigie in italia è stato di circa 1 Miliardo di euro, quindi dobbiamo dedurre che negli anni ’20 in Italia c’erano più auto pubbliche che adesso? Vi sembra possibile? E cercando tra i documenti del parlamento di quegli anni ho trovato stanziamenti per le automobili al servizio del governo…

Mito: Il Duce è stato l’unico uomo di governo che abbia veramente amato questa nazione.

Realtà: «Mi serve qualche migliaio di morti per sedermi al tavolo delle trattative.» enunciò il Duce il 26 maggio 1940 (ndr. L’Italia nella seconda guerra mondiale, Milano, Mondadori, 1946, p. 37): e così fu, visto che nella disastrosa “campagna di Russia”, solo per compiacere Adolf Hitler con una presenza italiana del tutto male equipaggiata e fornita nelle sue operazioni di guerra di guerra, persero la vita ufficialmente 114’520 militari sui 230’000 inviati al fronte, a cui aggiungere i dispersi, ovvero le persone che non risultavano morte in combattimento ma nemmeno rientrate in patria, che fonti UNIRR stimano in circa 60’000 gli italiani morti durante la prigionia in Russia.

Già…proprio amore.

Mussolini amava talmente l’Italia che:

– ha instaurato una dittatura

– ha abbassato i salari

– ha portato il paese al collasso economico

– ha tolto la libertà ai cittadini italiani

Il Duce amava talmente l’Italia da aver introdotto leggi razziali antisemite nel 1938 solo per compiacere l’alleato nazista, inutili perché in Italia gli ebrei, a differenza che in Germania, non avevano un’importanza rilevante in un sistema economico di cui la dittatura volesse provvedere all’esproprio.

Voleva così bene al suo popolo da farlo sprofondare in una guerra civile quando fu esautorato dal potere creando la Repubblica Sociale Italiana. Un paese già allo sbando a causa dell’armistizio dell’8 settembre e provato dalla guerra (condotta da lui con esiti a dir poco disastrosi) venne dilaniato ancora di più tra cosiddetta” Repubblica di Salò” e Italia liberata.

E i fascisti, soprattutto durante il periodo della Repubblica Sociale Italiana (o di Salò) collaborarono attivamente ai massacri di rappresaglia a seguito delle operazioni partigiane e alla deportazione nei lager di cittadini italiani.

E l’Italia, unico nei paesi “satellite” della Germania nazista, il fascismo fu istitutore e gestore di “lager” in Italia con l’impiego prevalente di proprio personale: la bibliografia ufficiale stima in 259 i campi di prigionia in Italia e gestiti con presenza prevalente di personale italiano, alcuni normali campi di detenzione, altri campi di smistamento in attesa della deportazione in Germania come quello di Bolzano e Fossoli, in provincia di Modena; ma alcuni erano autentici campi di sterminio come la Risiera di San Sabba a Trieste, dove il tenore dei massacri era inferiore solo ai campi in Germania e Polonia, molto più grandi e appositamente attrezzati.

E ci sarebbe tanto altro da aggiungere, ampiamente documentato: corruzione dilagante, dossier, lettere, minacce, accuse vere e false oscenità, inganni, arresti, ed anche ricatti. Un ventennio di ricatti! Gerarca contro Gerarca, amante contro amante, e l’accusa di omosessualità come arma politica. E Mussolini su tutto e su tutti fa spiare, controlla, punisce, muove le sue pedine.

La prossima volta che vi imbattete in una immagine che inneggia alla saggezza del Duce e di come potrebbe essere la salvezza dell’Italia fatevi una ricerca sulla storia del fascismo.

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LA GERMANIA ABBASSA L’ETA’ DELLE PENSIONI

LA GERMANIA ABBASSA L’ETA’  DELLE PENSIONI

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La Germania abbassa l’età pensionabile e, paradossalmente ma non tanto, arriva la protesta di un grande socialdemocratico, di un ex cancelliere di cui si dice che perse le elezioni ma salvò la Germania e lo fece e gli accadde non per opaco caso ma per lucida scelta . Il governo della “grande coalizione” guidato dalla cancellieraAngela Merkel riporta a 63 anni l’età per accedere alla pensione, seppur con 45 anni di contributi, e l’ex cancelliere Gerhard Schroeder dice: “Come lo spieghiamo all’Europa, a quell’Europa cui chiediamo sacrifici?”.

La retromarcia sull’età pensionabile (da 67 a 63 anni) costerà da qui al 2030 160 miliardi di euro. Chi ce li metterà? Dal 2019 saranno aumentati i contributi previdenziali di un punto l’anno fino a copertura. La nuova legge che entra in vigore dal luglio 214 porta la firma del ministro socialdemocratico del lavoro Andrea Nahles. Stabilisce si possa andare in pensione a 63 anni e non a 67 se si hanno 45 anni di contributi e senza pagre la penalità del 3,6% di pensione in meno per ogni anno di anticipo. Nei prossimi due anni si calcola circa 900 mila andranno in pensione “anticipata” rispetto ai 67 anni di prima.

Sacrifici sì, ma non per i tedeschi. E’ questo il messaggio potenzialmente molto pericoloso che dalla Germania rischia di arrivare ai partner continentali dopo la riforma tedesca in fatto di pensioni. Il piano appena varato dalla ministra del lavoro Andrea Nahles, prevede che si possa andare in pensione a 63 anni d’età, invece dei 67 validi sino a ieri. Misura che vale però solo per chi ha 45 anni di contributi.

Nonostante il monte contributi richiesto, alto, anzi altissimo, la nuova indicazione è nei fatti un alleggerimento della politica tedesca in fatto di pensioni. Un alleggerimento che probabilmente le casse tedesche possono reggere e che i 45 anni di contributi in parte giustificano. Ma in un mondo in cui la comunicazione è globale, oltre che essenziale, il messaggio che potrebbe arrivare ai partner Ue di Berlino rischia di essere dirompente: “Chiedete sacrifici mentre vi mandate in pensione prima”. E la mente corre veloce alle misure lacrime e sangue imposte alla Grecia e anche all’Italia, seppur in minor misura.

Una variazione sulla politica all’austerità che in Germania ha incontrato la bocciatura di Gerhard Schroeder, ex cancelliere socialdemocratico. Durissime critiche sono arrivate al progetto di riforma del sistema pensionistico di grande coalizione. Concedere il pensionamento a 63 anni a chi abbia versato 45 anni di contributi è “un segnale assolutamente sbagliato” nei confronti dei partner europei, cui “giustamente” la Germania sta chiedendo “riforme strutturali”, ha scritto Schroeder nel suo nuovo libro in uscita, secondo quanto riporta il tabloid Bild.

L’ex cancelliere – autore con il suo governo rosso-verde di pesanti riforme dello stato sociale e del mercato del lavoro – scrive di capire bene a quali fasce sociale si stia tentando di andare incontro. “Ma ciò non cambia il cuore del problema: come si finanzia la riforma?”.

Non solo problemi di opportunità politica per Schroeder, ma anche problemi economici. La questione centrale è che sarà necessario trovare fino a 11 miliardi di euro ogni anno. “Ciò porterà inevitabilmente tra qualche tempo a porsi la seguente questione: dobbiamo alzare i contributi per le pensioni?” E allora “saranno necessarie nuove dolorose riforme”, è “sicuro come un amen in chiesa”.

Schroeder scrive inoltre di stupirsi del fatto che le donne non stiano protestando per il progetto licenziato dal governo guidato dalla cancelliera Angela Merkel. Per l’istrionico ex politico, le nuove regole premieranno soprattutto “lavoratori specializzati, che guadagnano relativamente bene”, mentre “le donne sfrutteranno meno la riforma, dal momento che la maggior parte di loro non arriva ai 45 anni di contributi richiesti”.

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