Il balletto dello spread. La politica nelle mani della finanza

Il balletto dello spread. La politica nelle mani della finanza

Il problema non dovrebbe essere come diminuire il valore dello spread, ma come ridimensionare e gestire il debito pubblico.

Di Andrea Baranes e Ugo Biggeri*

Lo spread è tornato a dominare i titoli dei giornali. Il giudizio dei mercati sul suo andamento spesso detta l’agenda e i tempi alla politica. Ma in pratica come viene determinato? E perché varia tanto rapidamente?

L’indice misura la differenza di rendimento tra i BTP decennali e gli analoghi titoli tedeschi, presi a riferimento perché considerati sicuri. Se anche lo Stato italiano è giudicato affidabile, l’interesse che dovremo offrire sui nostri titoli sarà basso, altrimenti dovremo promettere rendimenti via via maggiori.

Sfatiamo qualche luogo comune

Attenzione però, questo non significa che se sale lo spread, da un giorno all’altro pagheremo più interessi. I BTP hanno un rendimento nominale fissato una volta per tutte. Ogni titolo ha una scadenza e, se il debito non diminuisce, bisogna emetterne altri per sostituirli. È in quel momento, e solo per i titoli di nuova emissione, che se lo spread è alto lo Stato dovrà offrire un alto rendimento, che sarà quello per tutta la vita del titolo.

Anche se sui media titoli allarmistici suggeriscono l’equazione aumento dello spread = immediato peggioramento dei conti pubblici, un aumento o diminuzione dello spread ha conseguenze che si manifestano (e si protraggono) nel medio periodo.

Montagne russe

Se il rendimento è fisso e le emissioni di BTP avvengono solo occasionalmente, come mai ogni giorno (anzi, ogni ora) dobbiamo controllare se lo spread è salito o sceso? La spiegazione è nel funzionamento dei mercati primario e secondario. Il primario indica la vendita di titoli da parte dell’emittente – il ministero del Tesoro – agli acquirenti – grandi intermediari specializzati – durante apposite aste. Una volta che i titoli sono così collocati, possono essere comprati e venduti da banche, fondi, risparmiatori sul mercato secondario, quello con scambi continui dove si incontrano gli investitori.

Sono le quotazioni sul mercato secondario a determinare, momento per momento, lo spread, seguendo la legge della domanda e dell’offerta: se tutti vogliono qualcosa il prezzo sale, se nessuno la vuole scende. Chiariamo con un esempio estremamente semplificato, immaginando un mercato in cui esistano unicamente due titoli. Uno italiano (I) e l’altro tedesco (T), entrambi con durata annuale e rendimento del 5% (ovvero entrambi sono emessi a 100 e dopo un anno vengono rimborsati a 105). In assenza di altre informazioni, gli investitori compreranno indifferentemente l’uno o l’altro.

Se però T è sicuro mentre I potrebbe fallire, sul mercato secondario tutti cercheranno di comprare T e vendere I. Per la legge della domanda e dell’offerta, il prezzo di T allora tende a salire, quello di I a scendere. Alcuni investitori saranno disposti a comprare T anche a 101, mentre altri proveranno a vendere I anche a 99 o meno. Cosa avviene adesso ai rendimenti? Il rendimento nominale non cambia, è sempre del 5% per entrambi. Se però compro T a 101 e a scadenza mi restituiscono 105, il mio rendimento effettivo non è più del 5% ma del 4% (circa). Analogamente, se compro I a 99 e mi rimborsano correttamente 105, il mio rendimento effettivo è di 105 – 99 = 6, a fronte di un investimento di 99, ovvero del 6% circa.

Rischio e rendimento

Ovviamente sui mercati finanziari le cose sono molto più complesse, ma è importante il principio: rischio e rendimento sono due facce della stessa medaglia. Se girano voci che l’Italia potrebbe uscire dall’euro, fare default sul proprio debito, o qualsiasi altra notizia possa allarmare gli investitori, ci sarà un aumento dell’offerta di titoli rispetto alla domanda. Questo farà scendere il prezzo dei BTP, e di conseguenza salirà il rendimento, ovvero lo spread. Lo stesso avviene se per qualche motivo tutti vogliono titoli tedeschi, anche se solitamente sono i BTP a variare di più.

È importante notare che il prezzo viene deciso da questo incontro di domanda e offerta, anche se i titoli comprati e venduti sono solo una piccola frazione del totale. In una giornata verrà tipicamente scambiato l’1% delle azioni di una tale impresa o il 2% delle obbligazioni di un’altra, e il prezzo finale sarà quello risultante da tali contrattazioni. Così, se a inizio giornata un BTP vale 100, ma compratori e venditori si accordano per scambiarselo a 99, il valore a fine giornata sarà 99 anche per la stragrande maggioranza degli investitori che non tocca il proprio investimento. È chi compra e vende a fissare il prezzo.

Per i BTP gli scambi giornalieri nei primi mesi del 2018 sono stati pari a 3,2 miliardi di euro al giorno. Nel 2017 la media è stata di 2,2 miliardi  [Bollettino trimestrale del MEF – Dipartimento del Tesoro, primo trimestre 2018. Tabella “Volume degli scambi sul mercato secondario”]. Cifre forse alte in valore assoluto, ma che rappresentano qualcosa come lo 0,1% degli oltre 2.300 miliardi di euro di debito pubblico. È questa piccola frazione di scambi giornalieri a determinare il prezzo dei BTP e quindi lo spread.

Poche banche determinano lo spread

Grandi investitori sono in grado di muovere somme tutt’altro che trascurabili rispetto al totale degli scambi giornalieri di circa 3 miliardi di euro. Per fare un raffronto (anche se parliamo di uno stock e non di un flusso) le banche italiane hanno a bilancio oltre 300 miliardi di euro di titoli di Stato. In altre parole, poche grandi banche o fondi pensione o di investimento che decidano, per i motivi più svariati, di comprare o vendere ingenti quantitativi di BTP a 10 anni, possono avere un impatto rilevante sul prezzo di acquisto e vendita e quindi sullo spread.

Parliamo di una frazione dello 0,1% del debito pubblico che è quindi sufficiente, in ultima analisi, a dettare o per lo meno a condizionare l’agenda politica italiana. Se possibile le cose stanno ancora peggio, perché tramite strumenti come i derivati (e i CDS in particolare) è possibile scommettere sulla probabilità di fallimento di un Paese sul mercato secondario. Scommesse che possono influenzare l’andamento dei titoli di Stato e dello spread. Alcune banche oggi offrono anche ai piccoli risparmiatori dei mini-derivati per scommettere sullo spread. Tutti possono giocare al casinò finanziario, anche se poi sono gli stessi che subiscono gli impatti di una finanza sempre più staccata dalla realtà.

Avete presente l’Auditel, il sistema in base al quale gli ascolti televisivi sono valutati monitorando qualche migliaio di famiglie, e il cui valore condiziona gli introiti pubblicitari? Poche famiglie, scegliendo un programma piuttosto che un altro, possono spostare dati ed equilibri. Ecco pensate a un meccanismo per alcuni versi analogo, ma che non influenza la pubblicità in televisione. Parliamo di un indice che è diventato la misura del rischio di default, della situazione dei conti pubblici e in generale del grado complessivo di (s)fiducia in una nazione.

Potere alla finanza

La domanda centrale dovrebbe allora essere come sia stato possibile assegnare a un indice così volatile un tale potere? La risposta è che lo spread è unicamente l’ennesimo, emblematico esempio degli inaccettabili rapporti di forza tra finanza e politica. La finanza ha riempito un vuoto desolante lasciato dalla stessa politica; le abbiamo consegnato noi questo potere, e lei lo gioca con la logica del massimo profitto nel tempo più breve possibile, quindi amplificando istantaneamente le previsioni sul futuro. Nell’immaginario collettivo la finanza ha saputo raffigurarsi come una scienza esatta, guidata da leggi matematiche e oggettive e dal giudizio tanto severo quanto infallibile. Un sistema immensamente potente e impersonale al di sopra delle nostre teste e dei nostri destini.

È una narrativa tanto fasulla quanto pericolosa. La realtà è molto diversa: parliamo di un sistema umorale e spesso ingenuo, con regole e decisioni fondate su assunti tanto fallibili quanto approssimativi. Dobbiamo cambiare le cose e possiamo cambiare le cose. Il lavoro da fare, prima ancora che sulle regole, è culturale. Dobbiamo smontare l’attuale immaginario costruito dalla e intorno alla finanza e ai suoi tempi sempre più brevi, e costruirne uno totalmente diverso. Dove la finanza torni a essere un semplice strumento al nostro servizio, dove prima di tutto diamo il giusto peso e il giusto valore a indici e meccanismi che al più possono aiutarci a comprendere alcuni elementi della realtà, non certo a guidarla e condizionarla.

Ricostruire l’immaginario collettivo, un passo per volta. In un dibattito politico serio, il problema principale non dovrebbe essere come diminuire il valore dello spread (un dato di brevissimo periodo), ma come ridimensionare e gestire il debito pubblico. Iniziando con l’affermare che non possiamo accettare che il destino dell’Italia e le nostre stesse vite siano misurati o peggio condizionati da un indice che è costruito come un auditel per imbonitori e piazzisti della finanza.

* Rispettivamente presidente della Fondazione Finanza Etica e presidente di Banca Etica

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