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Costanti universali, perchè sono fisse le costanti

costanti fisiche, chimiche

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In genere, ci si può chiedere perché tutte le costanti universali (velocità c, carica dell’elettrone, costante gravitazionale, costante di Coulomb, ecc.) abbiano i valori che hanno. La curiosità nasce spontanea, ma deve fare i conti con un ostacolo immane: formulare quel genere di quesito significa in buona sostanza chiedersi perché l’universo che conosciamo sia proprio quello che è o, almeno, quello che sembra essere. E questo ha una serie di implicazioni non da ridere che riguardano anche noi postulanti.

In effetti, se le costanti avessero valori anche solo di un’inezia differenti da quelli misurati, l’intera realtà cosmica si sgretolerebbe come un castello di sabbia. Basterebbe che solo due di esse, la costante di struttura fine e il rapporto tra la massa del protone e quella dell’elettrone, fossero lievemente diverse, per sortire quell’effetto catastrofico. Il mondo microscopico sub-atomico e atomico non si coniugherebbe più con quello macroscopico ordinario, né con quello cosmico. E, naturalmente, noi non potremmo essere lì ad assistete all’apocalisse per capire dove tutto starebbe andando a incartarsi.
n fondo, desta grande meraviglia e persino un senso di ammirazione il fatto che l’intera realtà si regga su un gioco di forze così finemente calibrato da creare un’armonia di rapporti tra le variabili fisiche che non solo permette all’universo di esistere, ma anche di esprimere dinamiche intellegibili per la nostra mente che poi le traduce in regole logiche ed equazioni o anche narrazioni scientifiche consequenziali.

Il nostro stesso pensiero razionale è reso possibile da un cervello che non avrebbe potuto strutturarsi nel corso dell’evoluzione biologica se quelle costanti fisiche non fossero state contraddistinte dai valori che abbiamo misurato. I neuroni, le cellule nervose, sono formati da molecole organiche che, a loro volta, si reggono su intelaiature di atomi di carbonio che hanno una certa stabilità e formano catene, proprio perché gli elettroni e i protoni hanno le cariche e le masse che hanno. Così, in un certo qual modo, noi rappresentiamo materia organizzata che il cosmo ha stabilito per contemplare sé stesso.

Ora, però, come può una componente di un sistema capire per intero il sistema cui appartiene e da cui deriva? Per farlo dovrebbe includere sé medesima in un circuito autoreferenziale che in quanto tale, pone dei limiti alla riuscita dell’impresa; gli stessi limiti che impediscono a una persona di vedere la propria nuca di fronte a uno specchio. Non si tratta tuttavia d’incoerenza o arroganza; è che proprio la curiosità sembra anch’essa una costante naturale. Vai a sapere se ce l’abbiamo solo noi o se non si tratti magari dell’espressione di qualcosa di insito nella materia e nell’energia.
Il pensiero è uno dei più grandi misteri del Creato (ammesso che sia stato creato), se non forse proprio il più grande. Ma questo stesso pensiero che ci porta a interrogarci sul perché della specifica costituzione della realtà fisica, ci fa anche realizzare che, in fondo, è incredibile che quelle costanti di natura esistano. Come sarebbe un universo senza la connotazione delle nostre costanti fisiche?

Abbiamo considerato che costanti diverse non permetterebbero al nostro mondo di reggersi in piedi. Potrebbero esse per caso (o non per caso) consentire la sussistenza di altri universi, un po’ come ipotizzava Giordano Bruno, mentre stava alla finestra e speculava su uccelli completamente difformi da quelli che vedeva volare oltre i vetri? Forse che viviamo in un multiverso dove ogni realtà risulta contrassegnata dalle proprie costanti? Tuttavia, a questo punto, la domanda vera è un altra ed è più radicale: può esistere un universo del tutto privo di costanti fisiche?

La variabilità subdola della natura irrequieta, cioè della ‘physis’, era ciò che fin dal VII secolo a.C. spaventava i filosofi della Ionia nell’antico mondo greco, mercanti e artigiani geniali che furono i precursori del pensiero scientifico. Costoro cercavano alacremente qualcosa che si conservasse immutato nella materia corruttibile, qualcosa di costante, per l’appunto. I ritmi celesti e la configurazione ricorrente degli astri erano uno spunto per riflettere in merito; così come la gravità che tramite masse appese poteva creare linee perfettamente e sistematicamente verticali, tracce utili per edificare splendide costruzioni.

Non a caso comparvero in quelle terre astronomi straordinari, ma anche architetti, matematici, filosofi naturali, menti che specularono sul mondo dell’infinitamente piccolo, sulle sostanze primordiali, sul moto dei corpi. Ognuno di loro cercava e trovava delle costanti. Poteva trattarsi degli elementi terra, acqua, aria e fuoco; oppure di minuscoli enti indivisibili, cioè degli ‘atomi’; o magari di ‘semi’ originatisi nei primordi che partecipavano alla composizione della materia; oppure numeri, rapporti armonici che regolavano tanto il transito dei pianeti, quanto le note vibranti della corda pizzicata di una lira; e tanto altro ancora.

Nacque la parola greca ‘cosmo’, a intendere un universo ordinato, strutturato con affidabilità, suscettibile di essere ammirato. La scienza si sviluppò da un moto d’animo, dalla ricerca della bellezza e del conforto che può dare all’uomo il riscontro di elementi ripetitivi, di regole naturali, di aspetti fissi del gioco della materia che si contrappongano al bailamme quotidiano degli eventi che passano confusamente e irreversibilmente attraverso le nostre esistenze. La forma regolare di una galassia a spirale non ci lascia indifferenti, così come l’ordine di un reticolo cristallino o le leggi fisiche di conservazione. È la conservazione del momento angolare che spiega il disco di accrescimento di una galassia. Le costanti del mondo naturale – che siano numeri, enti o principi – rispecchiano un’armonia sovraordinata e aiutano a prevedere e programmare; e quindi anche a corroborare e nobilitare le nostre azioni.
Già, perché cosa sarebbe il mondo se non lasciasse trasparire delle costanti allo sguardo del nostro intelletto? Quegli stessi antichi lo sapevano molto bene; infatti, prima ancora dell’avvento della filosofia, lo spiegava il loro mito: il mondo non sarebbe un mondo, ma sarebbe un terribile ‘caos’ (altra parola greca), una dimensione in cui nulla sta fermo e nulla si distingue, in cui ogni cosa si confonde con ogni altra nello spazio e nel tempo, in cui spazio e tempo perdono di significato, in cui non c’è posto per capire, per sperare, ma nemmeno per esistere.

Abbiamo dunque la risposta che cercavamo e che viene da un’umanità lontana, ricca di sensibilità e menti brillanti: senza costanti naturali avremmo un universo disordinato e destrutturato, l’esatto contrario di un cosmo. Potremmo allora asserire che questa realtà informe e inconsistente costituirebbe in fondo un niente, cioè il Nulla? Ma come fa il Nulla a essere costituito da qualcosa? Parmenide, nel VI secolo a.C., negava categoricamente il Nulla. Diceva che il Nulla non poteva esistere, giacché se l’avesse fatto non sarebbe stato tale: era questo il principio di non contraddizione nella sua forma più radicale, quella ontologica, quella dell’Essere che non può non essere.

Forse il vecchio filosofo di Elea, definito poi da Platone come ‘venerando e terribile’, non aveva tutti i torti. La verità è nell’Essere e il non-Essere è solo un inganno della mente. Il Nulla sembra proprio porsi come un concetto fuorviante e sostanzialmente incoerente. Nessuno però ci assicura sul fatto che la congruità, che è un parto della nostra mente e del nostro mondo, sia necessaria per trarre conclusioni su altre realtà. Dopotutto, potrebbero esistere universi pregni di contraddizione. Potrebbe addirittura esistere un universo vuoto, riflesso dell’insieme vuoto, un concetto che, per quanto lo si voglia indicare come assurdo, sta alla base della matematica. Il Nulla fatto mondo. L’urlo muto del caos.

Bé sono cose che non gradiamo un gran che. Ed è per questo che le costanti fisiche, colonne di una realtà cosmica ordinata, non sono apprezzate solo dagli scienziati, ma, a ben vedere, da tutti. La loro presenza ci consente di calcolare e formulare previsioni. Non ce n’è: esse sono riflesso di eleganza anche per chi non conosca la matematica. Eppure, allo stesso tempo, la pulsione irrazionale a sporgerci oltre l’orlo dell’abisso alberga incancellabile nel fondo del nostro animo. Sappiamo che, come raccontavano i miti di un tempo, tutto potrebbe essersi originato da un caos primordiale e forse, addirittura, dal Nulla. E quel caos, occorre riconoscerlo, farà anche paura, ma attira come una voragine.

Ecco che la curiosità verso l’ignoto e l’inspiegabile ci spinge verso quel confine. Può succedere talora attraverso le nostre azioni quotidiane o solo nei nostri pensieri. Stimolati da pizzico di follia frammisto a curiosità, c’interroghiamo allora su quegli inizi, speculiamo magari a nostro modo sul Big Bang o altre teorie cosmogoniche. Sì, perché se davvero tutto è venuto dal Nulla o dal caos, allora qualche retaggio di quei primordi inconsulti deve essere ancora presente nell’universo. Potrebbe trattarsi della radiazione di fondo, del redshift cosmologico, ma anche di qualche impercettibile oscillazione delle costanti fisiche.

Non è un mistero che la temibile domanda se la pongano anche gli stessi scienziati e non da ieri, bensì fin dagli anni ‘30: le costanti fisiche sono per davvero così costanti? In fondo, non siamo a conoscenza di alcuna legge fisica che prescriva questo. Non esiste nemmeno una teoria in proposito. Le nostre misure poco possono dirci in proposito, sempre inesorabilmente affette da errori sistematici causati dagli strumenti di rilevazione o da errori casuali insiti nell’atto della misurazione. E’ per questo che si preferisce lavorare con il rapporto di costanti fisiche, piuttosto che con singole costanti, come in una sorta di controllo reciproco dei valori.
Sta di fatto che l’universo evolve e si espande, producendo spazio-tempo tra le galassie che pertanto recedono una dall’altra, sino a scomparire dietro l’orizzonte cosmologico. Cambiano insomma le carte in tavola. Nulla sta fermo. Dopotutto, il cambiamanto ci circonda più dell’aria che respiriamo. Noi stessi invecchiamo e cambiamo idea. Anche l’universo lo fa.

L’infanzia del cosmo, dopo il mistero del Big Bang, era un periodo dominato dalla radiazione. Venne poi la fase in cui imperò la materia. Noi esistiamo oggi nella terza fase, la più lunga, nella quale (da sei miliardi di anni a questa parte) l’energia oscura espande lo spazio. Possibile che le costanti siano come una specie di immodificabile ‘apriti Sesamo’ che spalanca le porte all’evoluzione cosmica? Non sarà forse che anche la loro evoluzione dipenda da un’altra parola chiave, ancora sconosciuta?

Non sappiamo se si estendano altre porzioni di realtà oltre l’orizzonte cosmologico posto a 46 miliardi di anni-luce da noi in tutte le direzioni e che 13,8 miliardi di anni fa era addossato a tutto il resto dell’universo. Sappiamo però che all’inizio le forze della natura non si erano ancora distinte e che le leggi fisiche oggi note non valevano affatto. Possibile che successivamente, dopo poco spazio-tempo percorso, così tanta parte dell’universo si sia cristallizzata in un assetto immutevole? Quanta riserva di variabilità c’è ancora? Dobbiamo pensare che con le costanti note tutte le carte siano state sorteggiate?

Le costanti fisiche sono figlie dei trascorsi del cosmo. La loro eventuale variabilità potrebbe testimoniare di un passato in cui la molteplicità e la multiformità di oggi erano più contenute, ovvero più vicine a una presunta unitarietà, ciò che evoca concetti spirituali e filosofici e che gli astrofisici chiamano ‘singolarità’.

In verità, le singolarità in matematica mostrano spesso valori infiniti, testimoniando che abbiamo oltrepassato i limiti (sconosciuti) di validità delle nostre teorie oppure che abbiamo preso qualche cantonata. L’intera storia scientifica è dopotutto segnata da una lunga serie di cantonate. Se non fosse così la scienza sarebbe un dogma, un termine sinistro che significa qualcosa come ‘parere definitivo’.

Le costanti naturali non devono essere dei dogmi. Del resto, che tutto sia per qualche verso collegato con tutto lo testimoniano le loro stesse scoperte. La velocità della luce, ad esempio, era già stata esplicitata dalle equazioni di Maxwell sull’elettromagnetismo. La si ricavava dalla permittività elettrica del vuoto e dalla permeabilità magnetica del vuoto. E già da quelle eleganti equazioni differenziali si capiva ch’essa non dipendesse dall’osservatore.

Ecco in PDF un elenco di costanti in fisica, scaricabile gratuitamente.

 

 

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