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La radiazione di Hawking ha avuto una valida conferma sperimentale

Hawking Radiation

 La radiazione stazionaria di Hawking è stata in effetti sperimentalmente verificata presso il Technion-Israel Institute of Technology di Haifa, in Israele. La conferma è indiretta, ottenuta con un’analogia sperimentale, ma è decisamente molto solida.

Ne avevano di recente (marzo 2021) dato notizia diversi media, scientifici e non. Il primo collegamento allegato in calce riporta le cruciali risultanze della ricerca, erede di una serie di altri esperimenti simili, sempre più affinati e significativi. Il secondo link riporta una ricerca precedente dello stesso istituto.

Va però precisato che il buco nero che ha prodotto la radiazione in questione è un pseudo-buco nero (buco nero al laser), poiché è stato realizzato artificialmente in una maniera che non ha a che vedere con l’iper-gravità che caratterizza un buco nero reale. Non si tratta dunque di un’evidenza ottenuta dall’osservazione del cosmo, anche perché un buco nero naturale è difficilmente individuabile, non emettendo radiazione ordinaria (inghiotte tutto). Per altri versi, quella prevista da Hawking è davvero molto fievole; anche se si potesse studiare un buco nero presente in qualche galassia non sarebbe possibile rilevare e distinguere facilmente la radiazione di Hawking nel mare di segnali (soprattutto radiazione cosmica a microonde) che possono essere captati dalla Terra.

Lo psedo-buco nero realizzato dai ricercatori consiste in sole 8 migliaia di atomi (di rubidio), mentre quelli naturali possiedono una massa stellare, derivando appunto da stelle che hanno terminato il loro ciclo esistenziale e sono implose, collassando su sé stesse. Non v’è tuttavia alcuna ragione di pensare che le cose debbano andare diversamente su scala microscopica, dato che il fenomeno previsto teoricamente da Hawking ha un’origine quantistica i cui effetti non impattano sulle dimensioni in gioco. Diversamente da un buco nero naturale distante migliaia di anni-luce (il più vicino è a 1011 anni-luce), un mini-buco può studiarsi più facilmente.

Ma da cosa deriva questa radiazione?

Intorno a un buco nero si sviluppa una superficie (spazio-temporale) la cui esistenza si può derivare dall’equazione di campo della Relatività Generale. Nei casi ideali più semplici questa superficie è anche precisamente calcolabile (Schwarzschild). Essa prende il nome suggestivo di “orizzonte degli eventi”.

La definizione è spiegata dalla stessa Relatività. Infatti, qualunque oggetto dovesse superare tale superficie, finirebbe inesorabilmente catturato dal buco nero, senza poterne più in alcun modo uscirne e quindi anche senza più poter dare notizia di sé. La stessa luce verrebbe inghiottita da quella specie di aspirapolvere cosmico. Solo un oggetto superluminale, cioè che viaggia a velocità superiore a c, potrebbe in teoria uscire dall’orizzonte degli eventi, ma un simile oggetto appunto non esiste.

Per lungo tempo si è dunque supposto che un buco nero non potesse emettere alcun tipo radiazione o segnale. Ma poi si è fatta largo la congettura di Hawking del 1974 che ha rivoluzionato la faccenda, imponendo di considerare l’eventualità di una radiazione stazionaria, emessa dal buco nero, per la precisione dal suo orizzonte degli eventi. Per comprendere a grandi linee l’ipotesi occorrono giusto un paio di cognizioni di fisica quantistica. In effetti, ci troviamo qui a coniugare teoria einsteiniana e teoria dei quanti.

Bisogna innanzitutto sapere che il vuoto non è un nulla, ma un campo energetico. Questo campo subisce continuamente delle fluttuazioni caotiche. In queste occasioni dal campo possono derivare coppie di entità “virtuali” caratteristiche: una particella e la corrispettiva anti-particella. Per esempio, un elettrone e un positron e. O un fotone e un anti-fotone che però è ancora un fotone (il fotone è l’anti-particella di sé stesso).

Particelle e antiparticelle, così come sono create dal vuoto quantistico, possono anche subito reagire tra loro e tornare a elidersi a vicenda. Questi fenomeni di creazione e annichilazione si sviluppano freneticamente, continuamente e ovunque. Pertanto, si verificano anche sull’orizzonte degli eventi di un buoco nero che a questo punto possiamo considerare una sua “struttura”.

Ecco dunque cosa può succedere quando lì si forma una simile coppia: una particella si allontana dal buco, mentre l’altra resta intrappolata dentro. Per ragioni relativistic he (spazio-temporali), considerata da un osservatore lontano dal buco, quest’ultima deve possedere energia negativa. Viceversa, la particella che si allontana dal buco ha un’energia positiva. Il principio di conservazione dell’energia è rispettato ed è rispettata la Relatività.

Le due particelle non tornano a riunirsi in un’annichilazione. Naturalmente, possono farlo con altre particelle, ma intanto abbiamo una perdita di una porzione di energia dalla superficie del buco nero. L’energia è stata conservata, ma non nel buco. Alcune particelle sono, come detto, fotoni, ovvero radiazione elettromagnetica. Questa perdita di energia per radiazione è altre particelle corrisponde a una perdita di massa del buco nero, dato che per la Relatività (ristretta) la massa è una forma di energia.

Si capisce dunque cosa avviene nel tempo: il buco nero riduce sempre più la sua massa, mentre irradia debolmente energia intorno a sé. In sostanza, il buco nero molto lentamente “evapora”, posto che durante il fenomeno non si arricchisca per cattura di altra massa. Tra l’altro, questa sua specie di caratteristica termica è in accordo col Secondo Principio della Termodinamica che prevede che l’energia del mondo si disperda, uniformandosi nello spazio. Le ipotesi precedenti alla teoria di Hawking erano in violazione di questa legge fondamentale. Relatività, quantistica e termodinamica sono dunque tutte rispettate e in accordo nella congettura di Hawking.

La cosa interessante è che la radiazione di Hawking si pone nella teoria come tanto più osservabile e significativa quanto più è piccolo il buco stesso. Il che sposta l’attenzione sui buchi neri minori che si suppone si siano formati in epoche primordiali del cosmo. La loro ricerca è però difficoltosa, anche per via dell’espansione dell’universo nel frattempo intercorsa. I modelli di buchi neri minuscoli che si possono realizzare per analogia fisica in laboratorio acquistano quindi anche per questo una notevole rilevanza nella ricerca sperimentale.

Qualche cenno sulla conferma sperimentale in oggetto…

Gli atomi di rubidio utilizzati nell’ultima ricerca israeliana formano in prossimità dello zero assunto un condensato di Bose-Einstein (insieme di bosoni o atomi che occupano tutti lo stesso stato quantico, in sovrapposizione). Questo condensato, che è come un quinto stato della materia, viene imbrigliato da fasci laser e si comporta come un unicum, come una sorta di superparticella che ha doti fluide.

Vincolando il condensato, i laser l’hanno fatto scorrere a velocità differenziate, un po’ come capita all’acqua che forma una cascata molto alta. Una porzione del condensato fluisce a velocità superiori a quella del suono e l’altra al di sotto di quel limite. Si forma dunque una superficie di separazione simile a quella dell’orizzonte degli eventi. Una superficie di discriminazione “sonora”. Così, la separazione studiata in laborstorio non è sulle onde luminose (elettromagnetiche), ma sulle onde sonore.

Il suono non può risalire il fluido oltre la superficie di separazione, dato che il fluido si muove più rapidamente di esso. È come se in una sezione di un fiume la corrente aumentasse sino a che un canoista non riesce più a pagaiare verso monte. I ricercatori hanno trovato la sezione precisa nel condensato e hanno appurato che lì le onde sonore formano coppie di “fononi” che sono il diretto equivalente dei fotoni che si separano a cavallo dell’orizzonte degli eventi di un buco nero. Quelle coppie producono una “radiazione sonora” stazionaria, esattamente come stazionaria dev’essere la radiazione di Hawking.

Attenzione, si osservi a questo punto che il fenomeno non è però meccanico-macroscopico, ma è retto dalle qualità quantistiche del condensato. Infatti, le onde sonore servono solo ad amplificare un processo di separazione che si produce a livello subnanometrico, per via delle fluttuazioni quantistiche prima illustrate. L’analogia sperimentale è quindi perfettamente confacente agli scopi di conferma dell’ipotesi di Hawking. E le conferme non sono mancate

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