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È vero che hanno trovato la cura per il Covid-19 ?

pillola anti CoViD-19

Sì, la notizia non è affatto da poco. Ma occorre sempre procedere con i piedi di piombo, come si capirà anche dalle ultime note di questo post. Soprattutto, bisogna capire che “cura” (terapia) non significa guarigione certa. Bisogna anche capire che “trovare” una cura non significa ancora avere maturato un’esperienza consolidata con essa. Infine, bisogna capire che le cure hanno costi, benefici, vantaggi, controindicazioni che possono variare da caso a caso.

Al momento le informazioni sono scarne, non c’è molto più di qualche comunicato. Non si trova un gran che di significativo in rete, ma se l’azienda Merck

statunitense fa un annuncio si può stare certi che non sono bufale, ma questioni sostanziali, per quanto oggi nel marketing la teoria dei giochi basata sui comunicati sia rilevante. Non va nemmeno sottociatuto che Anthony Fauci

si è sbilanciato e ha descritto come “impressionanti” i risultati ottenuti con la somministrazione di questo nuovissimo farmaco contro Covid-19.

Stiamo parlando del Molnupiravir, un antivirale

(ribonucleosidico) in pillole da assumere per bocca a casa, ovvero senza alcuna richiesta di ricovero terapeutico. Nel complesso delle infezioni virali umane questo tipo di farmaci fanno in genere poco o niente, ovvero non ne esistono molti di veramente validi per bloccare un’infezione da virus. Nella maggior parte dei casi di infezioni virali la farmacologia può intervenire a fondo solo per via profilattica, ovvero tramite vaccinazione, secondo il noto principio che prevenire è meglio di curare.

Alcuni antivirali sono però noti e funzionano abbastanza bene. Un caso tipico che tutti i medici e alcuni cittadini conoscono è quello dell’Aciclovir

, un farmaco antivirale contro gli herpesvirus

che causano malattie come la varicella o il fuoco di Sant’Antonio. Non garantiscono quasi mai la guarigione completa (cioè l’eradicazione del patogeno) e possono indurre fenomeni di resistenza, ma costituiscono comunque una buona terapia per tenere a bada infezioni, ridurre i sintomi e accelerare la guarigione delle lesioni presenti dove le cellule sono state particolarmente colpite.

Anche il Remdesivir, dall’incerto effetto curativo

su Covid-19, e gli anticopri monoclonali, costosi ed efficaci solo all’inizio dell’infezione da Sars-CoV-2, sono da considerarsi farmaci antivirali. Un altro antivirale è il Favipiravir, usato pure contro Covid-19 con risultati dubbi e implicazioni potenziali pericolose (può essere teratogeno).

Fermiamoci qui; la lista non è comunque molto lunga e significativa.

Il nuovo antivirale che sta facendo notizia (ma la cui sperimentazione procede naturalmente già da mesi) si pone al momento come un mezzo terapeutico che si aggiunge alla lista e che desta un deciso ottimismo. Tuttavia, occorre anche sapere entro che limiti tale prospettiva positiva può essere contemplata. A questo punto è inevitabile chiedersi come e se questo ritrovato potrà essere combinato a livello popolazionale con i vaccini nella lotta all’attuale pandemia ed, eventualmente, ad altre inauspicate infezioni globali prossime venture. Diciamolo subito: non è un sostituto dei vaccini.

Va chiarito subito che il principio attivo di Molnupiravir non distrugge i virus che entrano nell’organismo, come invece fa il sistema immunitario, stimolato dalla malattia o dai vaccini. Esso impedisce invece la replicazione del virus nelle cellule dell’organismo attaccato. Potremmo chiamarlo un “virus-statico” (in analogia a “batteriostatico”). Indico poco più sotto come esso funzioni, limitandomi a una descrizione sommaria, anche perché non è che le informazioni al momento abbondinoa sperimentazione sui volontari è stata condotta, come anticipato, dal colosso farmaceutico americano Merck.

 Lo studio ad interim ha fornito per il momento risultati alquanto positivi. Va detto che il suo principio funzionale è recente, ma anche abbastanza generale, tant’è vero che i suoi primi studi hanno preso il via per curare l’influenza (che, com’è noto, non c’entra niente con Covid-19). Si tratta di un antivirale sviluppato sulla base delle ultime conoscenze di ingegneria genetica, quelle che hanno anche consentito lo sviluppo dei vaccini a mRNA di Pfizer/BioNTech e Moderna. Un campo a sé, insomma.

L’azienda statunitense, sfruttando la condizione pandemica emergenziale, ha già chiesto alla FDA

americana e anche ad altri enti farmacologici regolatori nel mondo l’autorizzazione veloce (rolling review) per la commercializzazione del ritrovato. La Merck prevede di poter produrre 10 milioni di dosi entro la fine del 2021 e ne ha addirittura già iniziato la produzione, pur non avendo ancora ricevuto alcun via libera dalle autorità preposte al controllo.

I trial di verifica sono stati condotti in doppio cieco nella terza classica fase clinica su 775 volontari non vaccinati over 60 e con almeno con un fattore di rischio. Quelli che hanno assunto il ritrovato in questione hanno accusato metà delle ospedalizzazioni rispetto al gruppo che ha assunto il placebo(cioè nessun farmaco attivo). Anche i decessi per Covid-19 nei pazienti trattati sono risultati dimezzati. In base alle risultanze sperimentali, la proliferazione di tutte le varianti principali attuali del coronavirus pandemico (Gamma, Delta e Mu) è stata ugualmente ostacolata. Inoltre, non esiste al momento alcuna indicazione di particolari effetti avversi.

Il dosaggio prevede l’assunzione di 2 pillole due volte al giorno (4 pillole in totale, intervallate da un lasso di tempo di 12 ore) per cinque giorni consecutivi. La terapia farmacologica si dimostra efficace se assunta entro cinque giorni dalla comparsa dei sintomi caratteristici della malattia respiratoria, ovviamente in presenza di conclamata positività a Sars-CoV-2. L’assunzione ritardata non porta invece a una sensibile attenuazione della replicazione virale, ormai avviata massivamente nell’organismo dell’ospite e che a quel punto può essere ostacolata eventualmente solo dalle difese naturali (immunoglobuline, linfociti), complicazioni da iperreattività immunitaria incluse.

Come accennato, il principio d’azione del farmaco è genetico. Il Molnupiravir agisce in due fasi. Vediamo in parole povere come esse si colleghino una all’altra.

Prima di tutto, il Molnupiravir è un profarmaco, cioè è inattivo, finché non assume una forma chimica che solo la sua trasformazione nell’organismo gli conferisce. In effetti, una volta che esso sia stato metabolizzato dalle cellule in cui giunge, viene convertito in porzioni chimicamente simili a quelle che formano il genoma del coronavirus pandemico che, com’è noto, è a RNA.

Ora, bisogna aprire una brevissima parentesi: nelle cellula esistono degli enzimi chiamati polimerasi che sono responsabili della costruzione di catene intere di DNA (DNA-polimerasi) o RNA (RNA-polimerasi) a partire da blocchi più piccoli (nucleotidi). In particolare, le polimerasi formano nuove molecole intere di DNA o RNA, prendendo riferimento da stampi pregressi. Le polimerasi sono componenti essenziali del processo replicativo e di sintesi di una cellula. Servono infatti per duplicare il DNA e anche per trascriverlo in proteine, le molecole che in un organismo fanno quasi tutto.

RNA-polimerasi di una cellula con la sua porzione verde che interviene sulla doppia elica del DNA.

L’animazione qui sopra illustra a titolo di esempio e in forma schematica la RNA-polimerasi di una cellula con la sua porzione verde che interviene sulla doppia elica del DNA. La polimerasi apre la doppia elica, isola un filamento e inizia a trascriverlo in un omologo filamento di RNA che servirà poi da istruzione per sintetizzare tutta una serie di proteine (attraverso i ribosomi

). Questo è solo un esempio di quello che possono fare le polimerasi sugli acidi nucleici DNA o RNA. Si tratta di vere e proprie macchine di lettura, maipolazione e assemblaggio (sono sorprendenti).

Ma, ecco un punto nodale: spesso i virus sfruttano meccanismi biochimici simili a quelli delle cellule per replicarsi, cioè ricorrono ad assemblaggi di DNA o RNA, a seconda del tipo di virus. Possono farlo con l’aiuto del macchinario cellulare, da soli o con soluzioni in qualche modo “miste”. Questo perché la biochimica stessa di tali molecole modulari si presta a questa specie di “gioco del Lego”, per così dire. In effetti, Sars-CoV-2, come altri virus, dispone di una RNA-polimerasi tutta sua (polimerasi virale) che gli consente di duplicare il proprio genoma a RNA nella cellula ospite.

Ebbene, qui subentra la seconda fase del processo innescato dal Molnupiravir, una fase che implica quello che potremmo chiamare un “abbaglio” o una “svista” del virus. Chi ha ingegnerizzato questo farmaco ha difatti sfruttato una conoscenza ormai quasi biennale: la polimerasi virale di Sars-CoV-2 non è molto accorta nello scegliere i pezzi da copiare e imbastire, motivo per cui l’assemblaggio può essere poco fedele all’originale e il virus può mutare (malgrado la presenza di un correttore di bozze interno).

In effetti, la RNA-polimerasi del coronavirus scambia i pezzi del Molnupiravir presenti nella cellula come se fossero propri. Cosa fa allora? Semplice: li prende come stampi del genoma di Sars-CoV-2, fa delle copie e le inserisce nel prossimo RNA virale, cioè nel genoma di quello che dovrebbe essere un nuovo Sars-CoV-2. Si capisce bene che quello che ne deriva non è affatto una copia fedele dell’RNA virale e del virus originale, ma qualcosa di ben diverso. In parole povere, le istruzioni inserite creano uno sconquasso “mirato”, un disastro di epiche dimensioni nella fine opera costruttiva messa in piedi dall’evoluzione del coronavirus.

Il risultato è che con quell’assetto ereditario modificato il virus non è più in grado di replicarsi. In sostanza, una volta che un RNA di Sars-CoV-2 viene “inquinato” dal Molnupiravir, quella linea del patogeno nell’organismo ospite è semplicemente giunta al capolinea, ovvero si estingue. Niente discendenti che proliferano. Fine della storia.

la componente del Molnupiravir, in giallo, venga inglobata in un certo punto della molecola di RNA virale.

La grafica

sommaria qui sopra mostra come la componente del Molnupiravir, in giallo, venga inglobata in un certo punto della molecola di RNA virale. La successiva copiatura della stessa durante il processo infettivo nella cellula introduce una porzione di istruzione, in viola, che non c’entra nulla con la sequenza originaria dell’RNA di Sars-CoV-2. In pratica, quella porzione viola è una mutazione deleteria per il patogeno. In sua presenza esso non riesce infatti più a replicarsi nell’ospite.

La cosa interessante è che, per quanto questo farmaco antivirale sia stato messo a punto ultimamente per combattere Covid-19, il suo principio di funzionamento può essere impiegato potenzialmente con pari successo anche per altre infezioni virali. Non c’è dubbio che i nuovi farmaci genetici dischiudano nuovi scenari terapeutici, incluse le infezioni virali, da sempre ostiche da curare.


Il Molnupiravir ha un effetto solo all’inizio dell’infezione, in quanto non può pervadere ogni RNA virale di ogni cellula infetta quando la proliferazione nell’ospite è già progredita. Non si può di certo imbottire un paziente di questo farmaco per assicurarsi che tutte le linee virali in replicazione si arrestino. In fondo, questo vale fin dalle prime fasi dell’infezione.

D’altronde, è anche vero che, se l’antivirale non riesce a bloccare la clonazione virale in tutte le linee che proliferano in un organismo, esso concorre comunque a limitarle, dando una mano al sistema immunitario. Sappiamo in effetti fin dall’inizio di questa pandemia che quando l’infezione avanza in massa la sollecitazione della risposta naturale dell’organismo può condurre a reazioni immunitarie eccessive. Quando si scatena una tempesta citochinica finisce che a minare la salute del paziente (con formazione di infiammazioni acute generali e coaguli disseminati) sia più il sistema immunitario medesimo che non il coronavirus.

I risultati mostrano che il farmaco ha ottime prospettive per i pazienti più esposti. In ogni caso, l’effetto difensivo non è uguale a quello dei vaccini. Malgrado il patogeno sia già mutato rispetto alla versione su cui i vaccini stessi sono stati ingegnerizzati e malgrado il Molnupiravir agisca su tutte le varianti allo stesso modo, il secondo non assicura una protezione dall’ospedalizzazione e dal decesso come al momento ancora fanno i vaccini. In altre parole, deve essere chiaro che questo farmaco antivirale non sostituisce affatto la necessità di sottoporsi a vaccinazione, com’è stato chiaramente affermato dagli esperti.

Va anche sottolineato che il Molnupiravil non ha nemmeno lontanamente l’efficacia degli anticorpi monoclonali (tipo il Regeneron) che raggiungono ben l’85%. Come però si è anticipato, il nuovo farmaco è una semplice serie di pillole da assumere a casa, mentre il trattamento con gli anticorpi monoclonali è molto più oneroso tecnicamente ed economicamente.

Infine, non dimentichiamo che, sebbene quest’ultimo antivirale abbia mostrato doti eccellenti senza evidenziare effetti collaterali importanti, esso è stato testato su meno di un migliaio di pazienti, mentre i vaccini hanno ormai un fllow-up di miliardi di dosi, dimostrandosi estremamente sicuri e inequivocabilmente capaci di abbattere le curve epidemiologiche.

Credito Roberto Weitnauer su Quora it

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