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La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4 del decreto-legge 13 agosto 2011, n.138 (”Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo”) convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, sia nel testo originario che in quello risultante dalle successive modificazioni, che disponeva la possibilità di privatizzazione dei servizi pubblici da parte degli enti locali, quindi anche il sistema idrico integrato, su cui pochi mesi prima c’era stato il referendum. Il governo avrebbe cercato di reintrodurre la normativa sulla privatizzazione dei servizi pubblici locali abrogata dal referendum popolare. A fare ricorso erano state sei regioni: Puglia, Lazio, Marche, Emilia-Romagna, Umbria e Sardegna.

la motivazione della Consulta verso la scrittura stessa della norma finita nel mirino. «Nonostante l’esclusione dall’ambito di applicazione della nuova disciplina del servizio idrico integrato — si legge nella sentenza, scritta dal giudice Giuseppe Tesauro — risulta evidente l’analogia, talora la coincidenza», della norma impugnata rispetto a quella abrogata dal voto popolare, nonché «l’identità della ‘ratio’ ispiratrice». «Tenuto, poi, conto del fatto che l’intento abrogativo espresso con il referendum riguardava pressoché tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica — scrivono ancora i supremi giudici delle leggi — non può ritenersi che l’esclusione del servizio idrico integrato, dal novero dei servizi pubblici locali ai quali una simile disciplina si applica, sia satisfattiva della volontà espressa attraverso la consultazione popolare».

 

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